A cosa servono i Rami, le Foglie e i Frutti degli Alberi?…

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PERCHÈ VEDIAMO I COLORI / Note di una diversa evoluzione

Se, in ogni primavera incipiente, ci fermassimo ad osservare attentamente il miracolo del risveglio della vita nel calore e nell’energia dei raggi solari, saremmo forse pervasi dal desiderio di capire le ragioni e i significati dei meravigliosi eventi naturali che spesso non trovano risposte nella maggior parte dei libri scolastici e nei trattati scientifici classici, laddove i fenomeni della vita vengono esaminati più attraverso i meccanismi e gli effetti che producono, e meno, molto meno, per le ragioni che li determinano. Dunque, nell’intento di sfatare alcuni miti sostenuti dai consumatori di proteine animali ho deciso di pubblicare una delle mie teorie contenute nel saggio che riguarda un modo diverso di considerare l’evoluzione della vita e, in modo particolare, la particolare evoluzione umana.
È noto che i colori hanno nel mondo vivente e sopratutto vegetale, una funzione di richiamo e a volte di avvertimento. Di certo i fiori non sintetizzano colori specifici nelle loro cellule per ragioni puramente estetiche, o per ornare i giardini umani direi che la bellezza dei fiori è la conseguenza della bellezza della loro funzione promotrice, vale a dire: pubblicità. Infatti né la pubblicità né tantomeno il commercio, li abbiamo inventato noi. Nel mondo vivente esistono da miliardi di anni. Noi le chiamiamo simbiosi, in sintesi, un infinito numero di realtà simbiotiche e ancora in gran parte sconosciute.
Dunque, è noto che i colori hanno la funzione di attrarre gli insetti e, insieme agli odori che essi possono anche percepire, costituiscono un’offerta di prodotti che richiamano i “consumatori” che da quei prodotti ricevono nutrimento e di contro ripagano le piante in servizi indispensabili come il trasporto dei semi (cioè degli embrioni delle piante).
Ma non mi soffermo sui dettagli delle interazioni simbiotiche tra insetti e piante, è un altra storia, piuttosto vado subito alla prossima considerazione: se i fiori, per i loro colori sono in grado di attrarre determinati insetti, come mai anche noi umani siamo in grado di percepire i sette colori primari e le loro sfumature pur non essendo insetti e non strutturati in origine per fornire alcun aiuto alla propagazione dei pollini?
Sappiamo che gli animali che non interagiscono simbioticamente con le piante non hanno le cellule specifiche in grado di percepire i colori, i carnivori ad esempio,  cani e gatti vedono con sfumature di grigi e blande tonalità di giallo e azzurro ma non a colori.
Io penso che la ragione non sia casualmente evolutiva per adattamento ambientale ma determinata come sempre dalla funzione relativa della morfologia animale, in questo caso degli animali predatori. Sappiamo che cani e gatti hanno un olfatto molto superiore al nostro, sopratutto i cani, poiché i predatori più grandi devono percepire la presenza di prede anche nascoste o lontane, quindi olfatto e udito sono estremamente potenziati, anche la vista lo è per acutezza ma non per i colori. La mia deduzione perciò riguarda il fatto che cani e gatti semplicemente non hanno bisogno esistenziale di “vedere” i colori, perché le loro prede si mimetizzano negli ambienti in cui vivono, boschi e foreste, con colori tenui tra il grigio e il marrone mentre per la loro sussistenza è stato molto più utile sviluppare al meglio gli altri sensi necessari per trovare le loro prede.
Ma l’animale umano? Siamo forzatamente diventati carnivori per imitazione, in tempi relativamente recenti, imitando i predatori -poiché siamo noi i veri pappagalli nel mondo vivente- ma anche per via delle glaciazioni e per esserci trovati in condizioni estreme in climi freddissimi e in ambienti privi di vegetazione, e abbiamo imparato a diventare nomadi e a costituirci in branchi governati da gerarchie come i lupi, anche se in seguito ci abbiamo preso gusto nel divorare carne che per mezzo del fuoco e del sale assume delle caratteristiche droganti tali da modificare le papille gustative umane e di acquisire infine una vera e propria dipendenza dal consumo di carne bruciata al fuoco, quindi, non per un vero adattamento non ancora realizzato, ma per uno faticoso processo di adattamento per riuscire  a metabolizzare la carne che non è il nostro cibo originale, come risulta evidente dalla morfologia dell’animale umano, che non ha nessuna caratteristica dell’animale predatore, noi non corriamo velocemente, non saltiamo, non voliamo e non nuotiamo abbastanza bene per catturare prede più grandi di una lucertola o di qualche coleottero, siamo diventati predatori mediante la dotazione di protesi micidiali che hanno rimpiazzato le zanne e gli artigli dei veri predatori che se la specie umana non avesse usato le arti magiche degli strumenti “esterni” al corpo non sarebbe stata in grado di sopravvivere come carnivora, al massimo come insettivora, ma solo in parte.
Io penso dunque che la percezione e la distinzione di tutti i colori dello spettro sia riferita sostanzialmente al nostro rapporto simbiotico con le piante, una ulteriore conferma del fatto che siamo animali FRUGIVORI e non carnivori.

Infatti, la nostra capacità di distinguere i colori deriva appunto dalla necessità di distinguere il nostro vero cibo, che viene offerto dagli alberi per processi simbiotici. Frutti maturi da quelli acerbi, frutti commestibili da quelli tossici.
Quasi tutti i frutti acerbi sono velenosi o indigesti e comunque non danno nutrimento.
Molte piante fabbricano un frutto che contiene nutrimento e protezione sia per gli embrioni in esso contenuti che per l’animale incaricato di trasportarli altrove, dopo aver ricevuto in pagamento per il trasloco, le migliori sostanze altamente nutritive e protettive della polpa e della buccia.
E come potremmo noi umani saper riconoscere il momento ideale per cogliere un frutto e ricavarne il massimo di preziosità nutritive senza peraltro correre il rischio di mal di pancia o di essere avvelenati da frutti immaturi? Dalle sfumature dei colori “alimentari”, gli stessi che vengono usati dalle pubblicità delle industrie alimentari e dei marchi e logo ispirati ai colori dei frutti, i meravigliosi e appetitosi gialli, arancioni, i rossi, i verdi e i viola, sono evidenze di sostanze altamente nutritive contenute nei frutti maturi, che seducono i nostri occhi quanto le nostre papille gustative da tempi ancestrali.
Dunque, dobbiamo al fatto di essere mangiatori di frutti, una serie infinita di vantaggi e possibilità che spaziano dall’arte alla tecnologia alla scienza e alla vita pratica, in innumerevoli esempi di percezione e uso dei colori che, le piante prodigiosamente e generosamente offrono a tutto il mondo vivente.
Anche la nostra supposta creatività è un dono derivato e stimolato da quei colori che abbiamo imparato a distinguere in simbiosi con le piante, poiché abitavano nel loro seno come ospiti graditi ma poi abbiamo dimenticato di essere così tanto in debito con loro e nella nostra suprema ingratitudine invece di rispettarle e onorarle persino le rapiniamo e le distruggiamo per profitto, disprezzo e motivi abbietti che non hanno nulla a che vedere con la sopravvivenza. Esse ci hanno offerto ospitalità e cibo, hanno ampliato immensamente le nostre percezioni ci hanno regalato la loro magia e noi con disprezzo senza alcun rimorso divoriamo i loro corpi mentre loro ci avevano offerto solo i frutti. Credo che il mito del giardino dell’Eden debba essere rivisto in questa chiave; il peccato non consisteva nell’aver mangiato il frutto della conoscenza, quello era il dono, il vero peccato era il fatto di aver voluto divorare l’intero albero.
NOTA AGGIUNTIVA NECESSARIA: Non sono in grado di sapere se nessun altro abbia nell’universo delle teorie scientifiche asserito questa stessa tesi riguardo alla ragione per cui l’animale umano sia in grado di percepire e distinguere i colori, ma la tesi che ho esposto è tratta dalla mia personale ed esclusiva ricerca della ragione delle cose. Non ho tratto ispirazione da nessuna altra fonte o scritto. È una tesi che fa parte del mio trattato sul fenomeno della vita e dell’evoluzione che ho elaborato anni fa ed è in corso di stesura, è ovviamente possibile che anche altri abbiano tratto le stesse conclusioni ma io non sono a conoscenza di nessuna teoria simile, come di altre che ho pubblicato riguardo le piante.
Ennio Romano Forina

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Da molto tempo sostengo, che le potature delle piante non sono né necessarie né benefiche salvo in casi specifici utili a loro e non a noi, Secondo una teoria che ho elaborato nel corso dei miei studi e delle osservazioni naturali, penso che la ragione vera per cui le piante fruttificano maggiormente. a causa delle potature, non è uno stimolo benefico alla produttività, ma il fatto che la pianta, mutilata dei suoi rami, avverte il pericolo di essere presto divorata e distrutta da animali pericolosi e molto voraci, perciò reagisce con una produzione di frutti più rapida e copiosa solo per avere maggiori possibilità di riprodursi altrove prima di essere uccisa e non per ringraziarci della tortura e delle ferite a cui l’abbiamo sottoposta. Ennio Romano Forina

Copyright Natura

Se la “Natura” volesse far causa al genere umano per aver copiato spudoratamente tutte le sue scoperte e invenzioni mirabili e da noi considerate come scontate, mentre attribuiamo arbitrariamente grande merito e gloria alle imitazioni che facciamo di quelle invenzioni, – già ideate e realizzate da miliardi di anni dal genio degli organismi – e molto tempo prima che noi emettessimo qualche flebile vagito di intelligenza, saremmo sicuramente condannati a restituire alla Natura stessa tutto ciò che le abbiamo depredato da quando le nostre mani e le nostre pance hanno imperversato su questo pianeta pensando solo di possederlo e non di viverlo.

Ennio Forina

Absit Iniura Verbis

Molte persone prive di facoltà dialettiche usano come metodo di confronto con gli altri ingiurie infantili e satira rudimentale, perché non sanno sostenere un dialogo basato sulla logica delle cose e sul semplice riconoscimento delle evidenze. In un’era di decadenza quale è quella attuale, il ricorso all’insulto al posto del ragionamento è tristemente diffusissimo, ma inaccettabile quando proviene dai pulpiti mediatici che dovrebbero promuovere il dialogo risolutivo e costruttivo non l’irrisione gratuita degli antagonisti.

Gli smaliziati imbonitori del popolo che prediligono invettive e giudizi sommari per denigrare gli avversari, forse riescono in questo modo a dare colore alle loro dichiarazioni fatte di stereotipi privi di sostanza, ma quando si tratta di dare un reale contributo di idee diventano improvvisamente balbuzienti.

Illuminati pensatori e filosofi di 2.500 anni fa elaboravano pensieri che la maggior parte degli individui moderni allevati nelle culle tecnologiche non sanno minimamente decifrare, altrimenti i loro stili di vita cambierebbero radicalmente e le cose che insegnerebbero ai loro figli sarebbero molto diverse. Non serve a niente imparare a scuola il significato i principi di base della società civile se poi questi non vengono applicati nella vita pratica, la virtu è un concetto molto ampio che si può esprimere in diversi livelli esistenziali ma una delle sue modalità più basilari è l’attitudine sincera tesa a migliorare i rapporti tra le diverse esistenze, con il rispetto innanzi tutto delle differenze, perché quando le differenze non possono più essere discusse esse diventano antagonismo fazioso e allora il conflitto è inevitabile.

L’insulto è antitetico al dialogo, per questo è così pericoloso, oltre l’insulto, tutte le situazioni piccole o grandi che siano possono diventare rovinose. E in questa costante diatriba generale, che somiglia molto più a una lite condominiale fatta di contrapposizioni feroci su questioni irrisorie è notevole l’uso e l’abuso di insulti senza senso, di terminologie del tutto inappropriate, di insulse frasi infantili, di epiteti e dileggi che non significano nulla e che nulla hanno a che vedere con le reali ragioni delle contrapposizioni. I media televisivi propongono programmi politici con satira unidirezionale dove si pronunciano feroci battute maliziose aspettando il prevedibile applauso di una claque ammaestrata, paracomici e guitti che indirizzano commenti da quarta elementare, conditi da rappresentazioni grafiche di poco dignitose attività fisiologiche. Opinionisti di rango che offrono alle interviste le loro convinzioni inalterabili e indiscutibili, enunciate come assiomi e postulati che non hanno affatto bisogno di essere dimostrati nella loro concretezza. E poi l’uso indiscriminato di parole e avverbi il cui significato viene distorto e reso irriconoscibile da una incultura di massa conformista e pigra. Prendiamo ad esempio alcuni di questi: perchè una persona abbietta debba essere denominato “bastardo” mi è difficile capire.

Questo tipo di insulto è usato per lo più nella sfera del privato, ma il termine originario, certamente dispregiativo per le deformi culture di tempi passati, è riferito a un figlio illeggittimo; esistono ancora i figli illeggittimi in questo mondo? Oppure come per le razze canine, vorrà dire nato da persone con caratteristiche morfologiche differenti? Davvero la nostra ricca lingua italiana non ha altre risorse per meglio definire un animale così diffuso come il furfante umano? In questi ultimi giorni sembrano essere ritornati in auge come termini dispregiativi i vari “porco” e “maiale”. Perchè, questo mammifero del tutto degno di rispetto, dovrebbe evocare sinteticamente i peggiori vizi umani, e quali vizi poi? Abbiamo attribuito arbitrariamente ad alcune specie animali connotazioni negative che sono invece pertinenti alla specie umana, per quel poco che capiamo di loro e per quello che per noi è conveniente pensare. Per secoli questi animali hanno costituito una riserva di cibo a cui attingere, in un solo momento dell’anno e gli uomini convivevano con essi sfruttando il loro docile carattere senza informarli della vera ragione delle loro cure e della falsa amicizia. Ormai i maiali si massacrano ogni giorno a centinaia di milioni, e poichè è un animale molto prolifico, il surplus di “produzione” viene smaltito come specialità gastronomica, vale a dire i maialini che non conviene allevare fino all’età adulta oggi si possono proporre nei menù dei ristoranti, non certo per placare i morsi della fame di popoli affamati o stremati da un inverno feroce, ma per il gusto delle tante persone alla ricerca costante di orgasmi palatali.

Oggi che siamo così consapevoli e così evoluti, li facciamo vivere quel tanto che basta in luoghi ristretti e fatiscenti, nel fango e nei loro escrementi, senza che possano vedere un barlume di natura ma confinati e torturati, nutriti con alimenti scadenti e farmaci. Che cosa hanno i maiali di tanto spregevole perché la loro immagine evocata costituisca uno dei peggiori insulti attribuibili agli umani? Gli etologi e non solo, sanno che i “maiali” sono altrettanto intelligenti e affettuosi quanto i cani, cosiddetti “fedeli amici dell’uomo” senza essere così nevroticamente legati al proprietario-capo-branco e, a differenza dei cani e similmente ai gatti, non si sono mai resi complici di crimini, quando la naturale aggressività e ingenuità dei cani è da sempre stata abilmente sfruttata dai prepotenti e dai criminali. I cani degli schiavisti, i cani degli aguzzini di sempre, i cani che in moltissimi modi hanno totalmente assimilato le caratteristiche negative dei loro “capi branco umani” e si sono comportati come loro. I maiali si accoppiano troppo di frequente? Detto dagli umani fa abbastanza ridere. Sono sporchi e gli piace rotolarsi nel fango? Lo fanno moltissimi mammiferi compreso l’uomo; è un modo per pulire la pelle e liberarsi dei parassiti. Come diventano gli uomini messi nelle stesse condizioni a sguazzare in un porcile? Basta guardare le scene di qualche “grande fratello” o di “famosi villeggianti di isole lontane” per vedere la rapida discesa nell’abbrutimento di coloro che si prestano a questi giochi mediatici. Non occorre che io faccia un elenco di quanti, fra intellettuali, giornalisti, politici, gente di spettacolo e persone comuni, utilizzino in modo infantile e del tutto inappropriato la nomenclatura animale per definire gli avversari.

Dovrebbero essi stessi, guardandosi allo specchio, accorgersi della loro profonda ignoranza, insensibilità e mancanza di argomenti reali per poter condurre una conversazione intelligente. Già nel nome è evidente il destino maledetto che la specie umana ha assegnato a questo povero animale sacrificato da sempre e torturato per la sua docile indole e per la ricchezza del bottino costituito dal suo corpo. Gli umani dovrebbero pronunciare il nome maiale con rispetto, anzi con gratitudine, ma più che altro con una grande vergogna.

Invito questi tanto celebrati uomini e donne che si compiacciono di impreziosire le loro dichiarazioni con i vari “porco e maiale” e altri ancora, di andare a sostare per una giornata in qualche mattatoio “lager” e guardare queste creature, urlanti, trascinate per le orecchie, recalcitranti nel sangue dei loro simili sgozzati, consapevoli della morte violenta che li aspetta senza una particella di speranza di poterla eludere. Anzi, li invito a compiere l’intero viaggio dagli allevamenti fino alle camere della morte e le fasi successive . Ma poi questo essere spregevole e disgustoso diventa un prodotto, e quando viene trasferito a pezzi sui tavoli delle salumerie improvvisamente acquista una dignità del tutto nuova, diventa come per magia un elemento appetibile e prelibato degno di stare sulle tavole più nobili; non è più un’ingiuria, anzi viene persino trasfigurato in questi templi dell’industria del consumo alimentare: “Signora, assaggi questo bel dolce di montagna”. Volevo – il condizionale è in disuso – due etti di crudo, o no, meglio il S. Ezechiele e  nessuno nelle arene popolari come in quelle mediatiche, dove si svolgono i duelli a colpi di opinioni, si sognerebbe di gridare all’ odiato avversario: “Tu sei un prosciutto!”.

Il Fascino dell’Imperfezione

Ciò che affascina nel Cosmo
è la sua energia creativa
che genera astri, sistemi solari e galassie,
li distrugge e li riforma continuamente.
Ma per essere dinamico, creativo e vivo,
è necessario che il Cosmo sia perturbato
ed imperfetto, poiché se fosse perfetto
non ci sarebbe bisogno di creare e ricreare nulla.
Quindi la vera perfezione è l’imperfezione,
che tende all’infinito verso stati di armonia relativi
che non possono mai essere perfetti
e non possono mai essere definitivi,
altrimenti ciò che conosciamo
come universo dinamico si cristallizzerebbe
in unico stato perfetto ma senza moto,
senza Vita e senza Tempo.
E dunque l’imperfezione creativa cosmica,
forse risiede nelle sue tre dimensioni certe
in cui si verificano gli eventi
che possiamo misurare con le nostre menti 
ed in cui tutte le energie fluiscono
generando, nel loro divenire il Tempo,
come quarta variabile dimensione.

Dunque se tutto fosse perfetto e immoto
si realizzerebbe il Nirvana universale,
ma francamente sono convinto
che il Cosmo la pensi proprio come me,
e preferisce agitarsi nel caos creativo
piuttosto che languire nell’ozio della perfezione.

Ennio Forina

Sentire e non Definire

Quando qualche sagace interlocutore mi chiede se credo in un Dio, io rispondo: “No!”, allora lo scaltro inquisitore replica: “Quindi sei ateo!” E io rispondo: “No, non sono ateo, perché non ha senso affermare di essere privo della fede in una entità che è esistita ed esiste solo nella variegata fantasia dei popoli, che si comporta come si comportano i regnanti umani, e si manifesta nelle attitudini, nelle forme e nei modi in cui la limitata immaginazione umana riesce a raffigurare e comprendere. Io credo in ciò che esiste, e quello che esiste è il Cosmo, che non è definibile né con un genere né con un numero e non pensa e non agisce come noi.