Andrea

Andrea era seduto sul bordo di quel relitto di barca lasciato di fronte al mare inclinato e con una parte della fiancata sfondata mezza riempita di sabbia e altre scorie portate dalla marea. La spiaggia era deserta, troppo freddo ancora, tanto più che l’epidemia e le disposizioni di contenimento avrebbero comunque impedito gli afflussi di persone, nemmeno per prendere il sole, ma Andrea era riuscito a uscire di casa con la sua brava mascherina e con i pattini e a raggiungere rapidamente la sabbia dove nessuno poteva notarlo. Un paio di settimane prima aveva fatto un brutta caduta fratturandosi un polso ma riusciva lo stesso a pattinare abilmente ma non come prima e  adesso era costretto a stare ancora più inattivo per via del braccio ingessato che teneva appeso e stretto da una fascia al collo.

Ma non era la frattura del polso che pesava sul cuore di Andrea, era la ferita aperta nel suo cuore, poiché un anno prima la tragedia aveva colpito la sua famiglia inaspettatamente, come spesso accade alla maggior parte di persone, eventi drammatici e ineluttabili possono accadere improvvisamente spazzando via la luce e l’allegria in un attimo, allora si comprende la vulnerabilità dell’essere ma allora è anche il momento di trovare le formidabili risorse latenti dell’essere. La morte stupisce, perché non se ne comprende il senso, perché arriva quando non dovrebbe e si vorrebbe che non arrivasse mai, specialmente quando è troppo presto. Ma come può un ragazzo di 15 anni affrontare la realtà dura della morte perdendo il genitore che dovrebbe insegnargli a metabolizzarla a non averne paura?

A non considerarla la fine di tutto o come una punizione ingiusta? Normalmente tutti i giovani non si rendono conto della morte, a 20 anni sentono il bisogno di provare e testare il loro coraggio, le loro capacità fisiche, affrontando prove e sfide insieme ai propri compagni. L’ho fatto anch’io, come tutti, arrampicandomi sulle rocce, passando sotto le gallerie dei treni, salendo sugli alberi, facendo discese vertiginose in bicicletta, nuotando nelle pericolose acque di un lago, che ogni tanto inghiottiva qualche incauta giovane vita che contava troppo sul suo fisico e per un semplice malore annegava.

La volontà di provare il proprio coraggio e la prestanza e quindi, di pavoneggiarsi di fronte alle ragazze è sempre stata abilmente sfruttata dagli scaltri tiranni di tutti i tempi, che rapinavano la vita dei giovani con la lusinga di gloria e patacche luccicanti su divise di smaglianti colori e inutili bottoni dorati in cambio di farsi scannare sui campi di battaglia per niente.  E la maggior parte si faceva convincere sempre. Se non morivano perdevano braccia, gambe, mani occhi e diventavano relitti, proprio come la barca su cui Andrea ora stava sospeso come sospeso in un limbo, cercando inconsciamente risposte che nessuno in ciò che restava della famiglia era riuscito a dare, nemmeno i suoi amici, dal magico schermo dello smart phone non venivano risposte né dagli amici virtuali né tantomeno dagli smart programmi  che hanno la pretesa di sapere e anticipare quello che pensiamo. Nessuno era riuscito a lenire in lui il dolore acuto di quella perdita. Perché? Quale punizione si era meritata la sua famiglia fino allora tranquilla nella normalità come quella di tante famiglie? Perché suo padre gli era stato tolto?

Aveva provato a esprimere quel dolore all’esterno, a liberare la sua mente dall’oscurità che era scesa di colpo in lui e non lo abbandonava da un anno.

Aveva provato ad esternarlo, agli amici e in famiglia, ma non aveva ottenuto risposte soddisfacenti e alla fine e l’angoscia di non trovare ragioni e giustificazioni a quella ingiusta perdita, il dolore era rimbalzato indietro avvolgendolo e imprigionandolo in una cappa di grigiore e desolazione che impediva di tornare ad essere il ragazzo pieno di energia e sogni di prima, ed era proprio questo il punto cruciale della sua impotenza nel liberarsi da quel tormento accettandolo, perché nella sua mente giovane e ferita, l’accettazione della morte del suo amato padre con il quale aveva anche a volte fatto un po’ troppo il ribelle, voleva quasi dire che lui ne era in parte responsabile, in un tortuoso vortice di pensieri che si ripiegavano su sé stessi inconsciamente.

Se ne avesse compreso il senso, l’avrebbe accettata mentre rifiutandola la frustrazione derivante assumeva i contorni di incerti e confusi di una colpa che non poteva attribuire ad altri se non al destino ma non potendo prendersela né con gli altri né col destino, Andrea aveva cominciato a prendersela con sé stesso.

Ora il suo sguardo si posava sulle piccole ferite che aveva inflitto al suo braccio, forse sperando che la sofferenza che aveva nella sua anima e nella sua mente offuscata dal dolore, potessero uscire al di fuori di lui attraverso quei tagli e disperdersi fino a svanire, ma in realtà lui stava chiedendo aiuto, chiedendo che qualcuno potesse guidarlo fuori da quel labirinto di dolore prendendolo per mano.

Io, lo scrittore, sono come un detective, raccolgo indizi per conoscere le ragioni di un delitto o delle offese, penso che Andrea non potesse essere consapevole di questa indagine che lui da solo non poteva fare, ma la sua anima lo richiedeva gridando, per quello se ne stava lì accasciato nell’aria umida salmastra che si colorava della luce del tramonto, fissando le onde mentre il disco solare si apprestava a riposare coprendosi con le coltri di rosse onde lontane all’orizzonte.

A un tratto, un uomo si avvicinò a lui, aveva notato questa presenza da lontano, un uomo con una specie di rastrello in mano e un sacco, con il rastrello smuoveva la sabbia e ogni tanto raccoglieva qualcosa e la inseriva nel sacco, un uomo dalla pelle segnata dal sole, né giovane, né vecchio, né alto né basso, che ora si fermò davanti a lui guardandolo come se stesse rimproverandolo con occhi del colore di giada.

L’uomo sorrise appena ad Andrea e poi fece una smorfia di disappunto vedendo le ferite sul suo braccio. Poi scuotendo il capo lentamente disse: “ No, no, questo non serve, non devi farlo non ti aiuterà”.  Andrea restò colpito dalle sue parole e dal tono calmo soffice della voce, che lo avevano appena scosso dal suo torpore sensoriale, costringendolo a guardare il volto dell’uomo che continuava a guardare le ferite passando da queste agli occhi, mentre si sedeva accanto ad Andrea appoggiando il rastrello e il sacchetto sul bordo della barca.

Quindi con tono rassicurante: “Aspetta, disse so io cosa ti serve, metti via il cell e ascoltami bene, ora ti faccio vedere due cose:” così dicendo mise una mano dentro il sacco e raccolse una grossa conchiglia vuota e lucida e un sasso perfettamente levigato dal movimento delle correnti marine dal fiume che lo aveva portato lì. E Andrea a lui: “Ma tu chi sei? cosa fai con quel rastrello?”  “Io sono un pulitore, lo vedi, elimino le scorie i rifiuti che inquinano la spiaggia, vado su tutte le spiagge e impedisco che queste scorie soffochino la vita nel mare e il mare stesso, è il mio compito, ma a volte mi capita di ripulire la mente delle persone dalle scorie che soffocano i loro pensieri come questi rifiuti uccidono la vita nel mare”.

“È un compito che ho dovuto assumere, quando serve, e qualcuno mi chiama intervengo, solo che non uso il rastrello”. Detto questo prese il sasso nella mano porgendolo ad Andrea che sconcertato da quelle parole lo guardò con curiosità  ma senza scomporsi molto, non capiva che importanza potesse avere quel sasso.

L’uomo fece  richiudere la mano di Andrea sul sasso e con parole molto serie come quelle che aveva spesso udite da suo padre per esortarlo a stare attento ai pericoli, a non correre rischi, l’uomo strinse la sua mano intorno a quella di Andrea sul sasso e iniziò a parlargli: “Ascolta ragazzo, ora devi fare come ti dico io, la tua mente è piena di paura e sei smarrito, ma tu non puoi sapere, perché hai paura, perché temi quello che non sai, che non conosci, che esiste solo in te, sono i rifiuti di pensieri sbagliati, che inquinano e impediscono a quelli giusti di farsi strada in te, ora ti dico che per qualche minuto devi abbandonare la tua mente e sentire quello che il sasso vuole dirti. Concentrati sul sasso e non pensare ad altro, non pensare a nulla. La tua realtà adesso è solo quel piccolo, ma immenso universo che è dentro la materia del sasso. Andrea provò a slegare il flusso dei suoi pensieri seguendo l’invito e a immergersi nella sensazione che quel sasso iniziava a dare alle percezioni della sua mano, mentre l’uomo piano sussurrava. “A poco a poco sentirai che quel sasso non è solo una pietra, ma pura energia condensata e se la tua mano riuscirà a percepire quella energia, la stessa entrerà in te purificandola come il rastrello scava nella sabbia e la  libera dai rifiuti. Non devi pensare all’energia, devi solo aprirti ad essa, lasciarla entrare in te, così la tua mente sarà in grado di liberarsi delle sue ombre e scaricandole sul sasso che a sua volta le eliminerà. Il sasso raccoglierà le tue ombre come il mio sacco raccoglie i rifiuti.

Restarono così per molti minuti sospesi, mentre la mano di Andrea si stringeva sempre più forte al sasso  come se fosse un appiglio sicuro scalando una montagna o una provvidenziale fune gettata a un naufrago in balia delle onde. Andrea iniziava a sentire qualcosa avvenire in lui, una sensazione di chiarezza come quando viaggiando, si diradano i vapori densi di una nebbia, e la strada appare. Stava sentendosi bene, quel lasso di tempo di poche decine di minuti aveva spezzato il  vortice del cattivo incantesimo che lui stesso aveva fatto.

Sì, qualcosa stava cambiando in lui. L’uomo allora gli disse di rilasciare il sasso lo prese e lanciandolo tra le onde disse : “Ecco! Quel sasso si è portato via tutti tuoi fantasmi e il mare li disperderà, è stato modellato dall’immensa energia del mare. Detto ciò l’uomo prese in mano la conchiglia vuota: “Vedi, un tempo qui dentro c’era un essere vivente, ora è vuota, ma la vita che era dentro non è morta, si è solo spostata è ritornata alla sua origine, è stata accolta nel grembo e nella culla della vita da cui è partita. Nessuno di noi se ne va per sempre, si cambia soltanto dimensione, ma si rimane avvinti nell’energia di amore che non cambia mai. Tuo padre ti ama, ma dove si trova ora non può’ parlarti con le stesse parole di prima, così deve essere altrimenti tu non saresti nemmeno nato, non ci sarebbe nessuna vita senza il divenire e la trasformazione da uno stato all’altro ma l’amore resta sempre stanne sicuro, e se tu ami tuo padre lascialo stare dove sta, fallo stare tranquillo, se ti fai male lui soffrirà davvero, lui vuole che tu sia forte e proceda nel sentiero futuro che ti appartiene e quindi che tu sia tranquillo. Lui già ti sta parlando come prima, ma in altri modi, sei tu che non lo ascolti.

Quindi, ora lascia stare la tua mente che serve ad altre cose, non pensare a tuo padre con la mente, apri lo sguardo e le orecchie dell’anima e del cuore e sentirai la sua voce, te l’assicuro, io l’ho so.

Andrea era scosso ma sentiva come se un macigno che pesava sul suo capo fosse stato tolto, ora per quanto l’oscurità stesse avanzando rapidamente tra i colori del blu profondo indaco e arancio del sole che si accomiatava dietro l’orizzonte e un vento teso lo spruzzava di schiuma salmastra, vide le onde che danzavano allegre davanti a lui e alzando gli occhi il cielo che si accendeva di ridenti timide stelle. Mentre contemplava queste cose non si accorse nemmeno che l’uomo non era più accanto a lui, sembrava improvvisamente sparito, si volse di scatto indietro e vide un lampo di ali colpite da un fascio di luce solare, sembrava un gabbiano che si levava in volo svanendo nel nulla, ma in quel turbine di vento bianco una piuma roteando intorno si posò sulla sua mano ancora aperta, la guardò stupito mentre nel cuore sentiva una voce senza suono.

Ennio Romano Forina Marzo 2020

La Promessa del Mirto

Racconto celebrativo per il 17 Marzo, 1861 – 2020ITALIA-LASTENNIO-august 2019 .jpg
La Repubblica Italiana.
 
Si era appena ripreso, riverso a terra, dopo essere stato ferito da un colpo di moschetto, si era nascosto nei fitti arbusti, mentre il sole lentamente illuminava la cupola d’aria sul monte Gianicolo. Da lì poteva vedere solo una piccola parte dei tetti e i ruderi della splendida Roma antica che si estendeva ferita oltre il pendio della collina.
I cannoni francesi avevano tuonato inesorabili tutto il giorno prima e il fumo delle esplosioni aveva coperto gli odori dell’estate appena iniziata, dei fiori sbocciati e degli alberi rigogliosi di foglie.
Grida e crepitio di colpi avevano pervaso l’aria, ricordava di aver visto scaturire le baionette attraverso nuvole dense di polvere poi improvviso, un colpo tremendo nella schiena e cadendo, vedere il fucile fumante del nemico, relatore del messaggio di morte.
Questa è la guerra, una missiva di morte a un nome, una famiglia e a un indirizzo sconosciuti.
 
Poco più che ventenne, lasciati gli studi letterari si era unito ai garibaldini che si opponevano alle truppe francesi sul Gianicolo per difendere la Repubblica Romana per quanto non lo esaltasse la violenza della guerra.
Adesso gli tornava in mente quando non molto tempo prima in quegli stessi luoghi, aveva riflettuto sui destini sconosciuti di tante persone sensibili e geniali che non avevano mai potuto affidare il loro contributo illuminato all’umanità perché le loro esistenze erano state spezzate prima che le loro doti si fossero sviluppate ed espresse. Quante probabili idee virtuose, opere d’arte o scoperte erano state prematuramente escluse dalla storia. Trafitte da una spada, dilaniate da una granata, impiccate, messe al rogo, imprigionate o fucilate. Quante occasioni sprecate di civiltà e giustizia a dimostrazione del fatto che i delitti puniscono anche chi li commette e persino i loro discendenti, che per questo sono destinati a vivere in un mondo peggiore.
Ma in questa nuova alba, il fumo della battaglia si stava dissolvendo risvegliando gli odori della vita e con essi il ricordo bruciante di un’estate diversa.
Ora dal suo rifugio, nella calma di una tregua, poteva sentire di nuovo gli inebrianti vapori dei fiori del mirto che si avvolgevano come un impalpabile abito nuziale intorno a una graziosa fanciulla dai lunghi capelli rossi di cui era innamorato. Insieme percorrevano spesso i sentieri del Gianicolo, vagheggiando di altri possibili mondi più giusti e liberi e del suo proposito sempre più forte di seguire Garibaldi, mentre lei con timore pensava alle feroci repressioni dei moti rivoluzionari .
Un giorno, mentre erano sdraiati nell’erba fitta, tenendosi strette le mani contemplavano le nuvole evolversi nel cielo ventoso, a un tratto videro un ciuffo di pelo bianco e due piccoli occhi spuntare tra i sassi e i cespugli. Era un gattino, tutto bianco, perso e impaurito che miagolava verso loro.
Lei lo raggiunse e lo sollevò a sé, tenendolo stretto al seno, quindi dopo averlo rassicurato si misero alla ricerca della tana materna. Girando tutto intorno per molti minuti, all’improvviso, non molto lontano trovarono una piccola famiglia di gatti sotto un tronco d’albero ornato dai cespugli di mirto e finalmente una mamma gatta accolse felice il suo piccolo smarrito.
Che si tuffò subito nel suo seno fra i suoi fratelli a succhiare il prezioso latte.
 
Per i due innamorati quella piccola famiglia era diventato un motivo in più per tornare lungo i sentieri del Gianicolo per portare del cibo e giocare con i cuccioli per alcune settimane fin quando un giorno sul finire dell’estate non li videro più, ma l’aver contribuito alla loro crescita e sopravvivenza aveva arricchito entrambi in molti modi, consacrando fra loro un legame profondo più di un matrimonio. Fu lei poi a osservare che i gatti apprezzati da chi aveva conosciuto la loro magica capacità affettiva rappresentavano in modo eccellente l’idea di libertà e indipendenza a cui ambedue aspiravano di una patria senza oppressori e senza tirannie né esterne né interne.
 
Un gatto non domina e non vuole essere dominato, restituisce amore senza essere servo, sta bene con gli altri perché sa stare da solo. Il suo spirito indipendente non è accettato da chi cerca servi e non amici e al pari dei popoli oppressi anche loro, i gatti, perseguitati nelle varie epoche, sono stati emblematici testimoni della libertà negata.
 
I ricordi persistevano, la ferita lo aveva quasi lacerato, anche se ora il sangue non scorreva più, non era in grado di muoversi ma i suoi pensieri ora potevano scorrere ancora più liberi e profondi, superando le ferite e la paura.
 
– I pensieri. Sono come le nuvole, impalpabili e multiformi entità, modellate dal flusso dei venti. La sostanza di cui sono fatte è la stessa, ma le loro forme sono mutevoli si mescolano ad altre, fino a disperdersi e apparentemente sparire immergendosi nell’oceano d’aria o accumulandosi in minacciose e gigantesche masse oscure. Ma a differenza delle nuvole i pensieri possono essere inseguiti, raggiunti e con il vento della ragione si può dar loro le forme più gradevoli e innocue, nella calma ed assolata aria del tempo migliore e impedire loro di formare tempeste. –
 
Quella porzione di mondo che poteva ancora scorgere ruotava intorno a lui come il perno dell’universo e mentre il suo corpo si spegneva sentiva che tutto intorno le piante, l’aria, la terra che lo sorreggeva e persino i sassi, stranamente esprimevano più vita di sempre.
Quel giorno non gli apparteneva più, non avrebbe partecipato a un’altra battaglia né potuto esultare per una improbabile vittoria e mentre il sole ascendeva al suo trono zenitale sentiva che tutto quello che fino a quel punto era stato importante stava dissolvendosi insieme alla nebbia della notte appena trascorsa nel doloroso torpore.
 
Poco oltre il suo giaciglio d’erba c’era il corpo di un giovane nemico con la mano stretta al ramo di un cespuglio, quasi per aggrapparsi alla pianta della vita.
Quale follia perversa aveva forgiato anche il suo destino? Come tante altre generazioni perdute nei campi avversi della storia!
L’ Italia, che sognava unita abitata da genti pacifiche, libere e operose stava diventando irreale e nel delirio si sentiva scivolare sempre più verso una dimensione libera dalle angosce e dai conflitti. Ma chi avrebbe ricordato il suo come quello di altri sacrifici e ad essi cercato di congiungersi valicando lo spazio del tempo? Tutti gli anni futuri regalati a un nuovo mondo forse egoista e ingrato, ai tanti, immemori e distratti, destinati per questo a tornar servi.
La Libertà di certo, non viene mai in dono.
 
Forse avrebbe combattuto ancora se fosse sopravvissuto, ma allo stesso tempo rivedeva con nostalgia i boschi del Gianicolo tra l’erba alta e i fiori, con la fanciulla amata che lo attraeva in sé, come una galassia ingoia i suoi soli e allo scorrere di quel torrente di emozioni che non sarebbe mai arrivato al suo appuntamento con il grande fiume della vita.
 
A un tratto mentre era immerso nella sofferenza atroce dei pensieri che dolevano più della ferita, un tocco lieve percorse la sua fronte e accanto a sé vide un bellissimo gatto bianco che lo guardava intensamente con i suoi occhi di giada come se stesse perforando la sua anima.
Sembrava consapevole delle sue pene e annusando l’aria sembrava dire: “Noi gatti abbiamo colori diversi ma non ha importanza, le nostre lotte dure sono vitalità, i vostri conflitti invece hanno sempre il sapore della morte. Vi sentite tutti dei re, ma in voi regna la disperazione della solitudine poiché avete perso il contatto con l’essenza della vita. Noi abbiamo paura dei pericoli, voi della vita. Noi lottiamo per sopravvivere, voi vorreste vivere in eterno. Noi “viviamo” un territorio senza possederlo, voi lo possedete senza viverlo. E senza farlo vivere agli altri”.
 
Il gatto ora si era adagiato sul suo petto, lo vedeva contemplare l’universo e con lo sguardo indicare certezze. Sollevò la mano per posarla su quel corpo scintillante nel sole e un vivido ricordo affiorò improvviso prepotente nella sua mente.
Ma sì! Era il cucciolo, riportato alla madre da due innamorati felici in un giorno lontano di primavera, la stessa creatura incontrata e persa, ma non dimenticata, nei percorsi di vite diverse. Il gattino smarrito di un tempo aveva ritrovato chi lo aveva soccorso e nutrito e che a sua volta avrebbe scortato lui ora nel breve tratto verso la sua ultima tana.
A un tratto anche la sua angoscia sembrò sparire del tutto nello spazio di quegli occhi in cui si formavano galassie. “Non preoccuparti…niente è stato perso, ” sembrava dire “…quello per cui hai lottato è la Vittoria stessa!”
E il suo corpo bianco riempiva tutto il cielo.
E fu allora, che tra i rami dei cespugli, se fosse vero o un sogno, anche la sua amata apparve e con un grido spezzato si piegò su di lui bagnandogli il volto coi capelli, mentre il fruscio delle sue vesti sulle foglie del mirto si spargeva intorno come le note del canto che rievocava la promessa che il profumo del Mirto a primavera ad ambedue aveva fatto.
 
Lacrime calde e soffici
Scivolarono sulle sue labbra
Mentre il vortice di pensieri
Avvolgeva la coscienza nel sonno.
La sentì accanto.
Le gote umide di pianto
La fanciulla vaga e snella
Conosciuta e amata un anno prima.
E quel che vide infine
Era per lui ben più che una promessa.
Stava lì di fronte, alta nel sole,
Orgogliosa e fiera come un vessillo al vento
Col rosso dei capelli
La verde gonna
E il bianco gatto in seno.
 
Ennio Forina

I Racconti Della Quercia Insonne/ La Tempesta

Per la prima volta nella vita avevo accettato di partecipare ad una vacanza in montagna insieme a un gruppo eterogeneo di gitanti estivi. Mi trovavo sul versante occidentale alpino e mi ero allontanato dal gruppo un paio di ore prima per una solitaria passeggiata contemplativa tra i sentieri che si dipartivano dall’Hotel, costeggiando un piccolo ma impetuoso torrente che riversava a valle la sua acqua diamantina, dalle invisibili sorgenti in alto. Stavo percorrendo lo stretto sentiero che fiancheggiava il torrente e poiché avevo ancora del tempo prima di tornare all’hotel per la cena, mi diressi per guadagnare una vista migliore da un promontorio di roccia scura poco distant
Una quercia con un’immensa chioma di foglie si ergeva orgogliosa un po’ più in alto sul pendio del monte, circondata da un verde e scintillante tappeto d’erba e sembrava che stesse lì ferma come un gigantesco baluardo per impedire alla montagna di cadere giù nella valle.
Non potei fare a meno di fermarmi ad ammirare tanta munifica bellezza di foglie che si espandevano dai rami robusti protesi da tutti i lati sfidando la gravità come fossero braccia tese all’aria e al vento colme di nubi verdi . Spesso, passeggiando tra gli alberi, osservavo con interesse le diverse forme dei semi e gli espedienti che le piante usano per renderli trasportabili dal vento, dagli uccelli e insetti, e inventando molte altre tecniche ingegnosissime per spargerli intorno il più lontano possibile. Una serie infinita di meravigliosi metodi e differenti strutture per assicurare la diffusione e la sopravvivenza di ogni tipo di pianta.
Non so quando iniziai nel corso della mia vita a raccogliere dei semi che trovavo a terra e a portarli altrove, in qualche terreno favorevole per la loro crescita.Venivo preso da una specie di empatia per l’impegno che gli alberi, come i lecci, le querce, avevano impiegato nello sviluppare le loro efficaci tecniche milioni di anni prima, senza sapere che il mondo e il suolo sarebbero in questi ultimi secoli cambiati così tanto a causa dell’impatto umano. I loro semi ora in gran parte finiscono in terreni improbabili o impossibili perché una nuova pianta possa svilupparsi, cemento, asfalto o le moltissime aree impregnate di rifiuti e sostanze tossiche. Mi commuove vedere ghiande che una grande quercia da sughero di fronte alle mie finestre “spara ” intorno e finiscono in strada schiacciate dalle automobili, specialmente pensando a quante altre piante vedono i loro sforzi riproduttivi vanificarsi per la modificazione del suolo. Ma le piante non si arrendono e senza che noi ce ne rendiamo conto combattono una guerra silenziosa contro le nostra prepotenza, contro la nostra visione di un mondo che diventa sempre più grigio fatto di megalopoli che sono sempre più simili a gangli cancerosi, metastasi di cemento e acciaio che crescono ovunque e continuamente alle intersezioni delle strade. Ma le piante crescono, lo stesso si specializzano e diventano più virulente. Ci sono delle erbe alte qualche decina di centimetri così tenaci ai lati delle strade e tra le fessure del cemento o della pietra impossibili da strappare. Noi le chiamiamo con disprezzo “erbacce,” ma loro ridono di noi e sanno che la guerra alla fine la vincono loro. Le città fantasma intorno a Chernobyl in cui la vita umana e degli animali superiori è impossibile, ora sono ricoperte di alberi e vegetazione che ha trovato i modi di prosperare nonostante la radioattività. Noi non ne siamo capaci con tutta la nostra supponenza.
Gli alberi sono sempre stati per me una presenza amichevole, un campo di gioco, un rifugio non solo da condizioni atmosferiche avverse, dalla pungente aria fredda d’inverno, come dal calore implacabile del sole e dell’estate, mi sono stati di conforto in alcuni dei momenti più desolati della mia vita, quando la conflittualità e la fragilità umane rischiavano di frantumare le famiglie così come i sogni legati ad esse.
Non era solo per gratitudine, ma per seguire l’idea che se si può fare qualcosa di bene per un’altro essere vivente in qualsiasi momento casuale e che non include nemmeno un impegno rilevante, perché perdere l’occasione? Spesso causiamo del male semplicemente non attuando il bene, con l’indifferenza ma anche se nessuno può biasimarci dovremmo noi stessi biasimarci.
Si tagliano rami con le gemme non dischiuse e i fiori per metterli nei nostri vasi che sono null’altro che urne funebri per decorare un tavolo, una stanza, mentre avvizziscono e di fatto si gode della loro agonia, chiamandola bellezza. Ai bambini non viene mai detto di non spezzare e strappare rami perché sono parti di un organismo vivente, essi lo fanno come un gesto atavico senza capire e senza rendersi conto che i gesti fatti senza riflettere sono quasi sempre distruttivi nella sostanza e dal piccolo ramo spezzato con indifferenza, alla distruzione di una foresta intera il passo è breve, l’azione distruttiva è racchiusa nella intima matrice del gesto, che è lo stesso di quelli che l’azione umana compie in scala maggiore.
Ogni anno, sacrifichiamo miliardi di abeti per celebrare feste in cui nemmeno crediamo, insegnando ai piccoli che la nostra gioia può tranquillamente ignorare e disprezzare la vita altrui.
Stava diventando tardi, mi scossi così da queste riflessioni e raccolsi velocemente alcune ghiande in più da terra, riempiendo le tasche della giacca a vento, con l’intenzione di lasciarle in qualche luogo adatto il mattino seguente perché potessero eventualmente diventare dei magnifici alberi come la loro madre quercia.
Ma ad un tratto avvertii un fremito strano mentre mi volgevo in direzione dell’hotel e immediatamente sentii l’impulso di guardare la scura chioma della quercia sopra di me con ammirazione, come si indugia per alcuni istanti a osservare un tramonto o le nubi fluttuanti nel cielo o una catena montuosa rilucente di neve, così con il naso all’insù e senza nemmeno rendermene conto, iniziai quasi a “parlare” alla quercia per chiederle cosa l’avesse fatta diventare così bella, fiera e robusta nel suo vestito verde scuro, rilucente di toni argentati ancora visibili e misti ai riflessi d’oro e di fuoco della luce del tramonto. Questa era la domanda che si era delineata nella mia mente; sapere quale fosse stata la potenza, l’impulso e l’energia che le aveva dato così tanta vitalità, l’intelligenza e la capacità di lanciare i suoi semi intorno come fossero proiettili accompagnati da un sonoro crack lontano da sé stessa.
E mentre i miei pensieri si dipanavano vaganti come parole espresse, improvvisamente la sua chioma iniziò a vibrare e tremare, al passaggio di una brezza insinuata veloce attraverso. E a quel punto, ogni foglia sembrò trasmettere un sussurrio di parole vibranti. Era come se stessero parlando con parole simili a un soffio di vento ma che sorprendentemente ero in grado di decifrare e queste parole avevano un suono grave e sembravano come un avvertimento.
–“ Come la maggior parte di voi, quello vostri occhi riescono a vedere sono solo le forme e non l’essenza delle cose e quello che riuscite a sentire sono solo suoni, e non il messaggio che esprimono.”-Non sentite la tempesta avvicinarsi? Come tante volte prima, ma ora la prossima sarà molto più potente e rovinosa che mai. È una tempesta che ha molte forme e molte dimensioni, può colpire da tutti i lati senza lasciare vie di fuga e non ci sarà riparo da essa ovunque voi siate”.–
Non riuscivo a credere di aver potuto concepire nella mia mente tali pensieri, né perché sembrassero venire dall’albero, dalle sue foglie o fossero solo un riflesso della memoria di orrori passati richiamati dai reconditi recessi della mente e dell’anima. Ma perché saltavano fuori ora? Non essendoci riferimenti allusivi nel contesto di una semplice vacanza un po’ noiosa e nel corso di una semplice passeggiata ricreativa? Di nuovo la mia mente senza che lo volessi si rivolse alla quercia girando a lei la stessa domanda. E le foglie ancora una volta sembrarono emettere vibranti parole in risposta verso la mia mente –“C’è una sola energia che possa fermare la tempesta, un unico luogo dove ripararvi perché la tempesta verrà e non ci saranno altri rifugi se non quello, l’unica vera barriera, ma è una difesa rara da trovare e difficile da costruire, e a voi non importa molto di cercarla e non sapete usarla né conservarla, solo pochi di voi prima hanno conosciuto questa energia ed è solo per questo che ancora esistete su questo Terra.”-
-“Noi, alberi- madre, offriamo a voi e ad altri esseri viventi i frutti che contengono i princìpi della Vita. Gli altri animali li apprezzano, li mangiano e ci ringraziano facendo crescere altre piante e altri alberi e loro sono soddisfatti e noi siamo soddisfatti e ci sosteniamo senza rubare nulla gli uni e agli altri. Voi invece prendete i frutti per ottenere altre cose, che si acquistano con foglie che non hanno vita, sono velenose ma hanno un potere immenso. E per ottenerle coprite i nostri frutti di veleni, mangiate la polpa e poi buttate la parte più preziosa per noi senza renderci il favore e se lo fate lo fate per il vostro vantaggio non per riconoscenza né per ammettere la genialità e la bellezza della nostra invenzione e dite che quello che noi siamo stati capaci di scoprire e inventare e fare è stato fatto da qualcuno che vi somiglia, ma non esiste, e noi lo sappiamo perché oltre ai frutti cercate anche di toglierci i nostri meriti.”-
-“Fate lo stesso con il modo in cui amate: siete attratti dalla bellezza del frutto dell’amore, lo costringete a vestirsi del veleno di mille ipocrisie e di sottostare a regole e leggi che lo imprigionano e gli impediscono di crescere, così come imprigionate noi, gli date forme stupide, come fate con noi quando ci potate per adattarci ai vostri schemi di bellezza, lo consumate come si consuma un frutto e quando di esso resta la parte più preziosa, la buttate via così come gettate via i nostri semi che sono i nostri embrioni, o li costringete a nascere e vivere in schiavitù a vostro vantaggio non al nostro. Lasciateci in pace, Ridateci la libertà e restituite la libertà anche al vostro frutto dell’amore, e sarete meno infelici e tristi. Quello che fate lo fate nel bene e nel male, nei risultati e negli effetti, ma ciò che è profondamente sbagliato è il pensiero che vi fa agire, un pensiero di supremo egoismo volto solo a voi stessi e che non considera e non vuole ammettere che la Vita è una sola. Fino a quando una parte di Vita vive, lasciando vivere le altre parti, la Vita intera vive, mentre voi agite come l’organo di un corpo che dopo aver divorato tutti gli altri organi, non avrà altro da divorare che se stesso”. –

L’Ultima Acqua

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Il temporale aveva ripulito l’aria afosa di quel quel caldo pomeriggio di fine estate.
Mentre guidava fra le auto intasate sulla strada sinuosa che costeggiava il fianco del parco cittadino, a un trattoElio si domandò se valesse la pena cercare di proseguire faticosamente in quel caos, anche perché proprio pochi metri più avanti c’era una comoda e invitante insenatura della strada che gli avrebbe permesso di accostare e parcheggiare, in attesa che il traffico si diluisse. Gli alberi carichi di miriadi di piccole gocce diamantine attraversate dai raggi del sole e i prati della villa bruciati dal calore estivo e appena gratificati dalla pioggia erano un forte richiamo per una passeggiata fuori programma.

Ricordava momenti diversi e lontani, nei quali il tempo non era rapinato dalle attività per la sopravvivenza professionale e aveva ancora la scansione che il pensiero libero gli concedeva e tra un compito e l’altro c’erano quei preziosi e ormai perduti spazi di libertà in cui l’animo poteva vagare per i sentieri dischiusi della riflessione profonda.

Appena possibile quindi decise di fermarsi e poco dopo camminava nei viali della villa tra gli alberi, nell’aria densa di odori emessi dai fogliami bagnati, primo fra tutti l’agrodolce caratteristico odore delle siepi di mirto e si diresse verso il centro del parco, verso un piccolo e suggestivo lago che aveva già visitato più volte in passato. Ora la pioggia si elevava nuovamente dai prati in caldi vapori avvolgendosi intorno alle siepi e agli alberi, ma lasciando trasparire le gocce appese alle foglie come ornamenti di gemme.

Roma era stata avvolta in un caldo osceno quel mese, sempre più insopportabile ad ogni estate. Era una buona occasione per fare qualche riflessione profonda estemporanea.  Elio non aveva dubbi sulle cause evidenti del cambiamento climatico, forse ormai inarrestabile. In un passato molto lontano il pericolo  aveva le forme di animali feroci e condizioni naturali avverse, ma in questa era, i nemici peggiori, i più temibili, avevano le sembianze e le azioni della specie umana.

Il lago era alquanto deserto per il temporale e le panchine tutte disponibili ad accogliere il suo meritato, estemporaneo relax. Ora tutti i suoi pensieri potevano navigare sulla superficie dell’acqua appena turbata dai cigni che slittavano erratici e senza peso sulla superficie come virtuosi pattinatori, volteggianti su una lastra di ghiaccio. Era un raro spettacolo di calma idilliaca, peccato che l’acqua e le rive fossero disseminate dai residui delle disinvolte scorrerie umane, e il lago anche se rivitalizzato dalla pioggia, sembrava solo chiedere aiuto per tornare a risplendere senza quella soffocante sporcizia.

Tuttavia, sentiva che i suoi pensieri in quel momento di libertà potevano ritrovare sensazioni dimenticate, o mai ancora raggiunte, in qualche parte dello spazio e del tempo e forse anche qualche preziosa briciola di verità. In quell’ampolla di natura dopotutto, vi erano i principi generatori della vita, gli stessi che fanno adagiare immote le verdi ninfee sull’acqua e arricchiscono le rocce delle sponde con muschi e licheni, rivestendole come tessuti preziosi.

Un senso di intimità con quel luogo stava affiorando nel suo animo mentre, stranamente e in modo graduale si sentiva pervadere da uno strano torpore, che stava scendendo come una cupola di semitrasparente su tutto ciò che era  intorno a lui, e intorno al lago, e lentamente la realtà della situazione sembrava confondersi inglobata in una irreale e magica nebbia .

Ora il tempo era sospeso, fermo, il lago sembrava trasfigurarsi, i vapori lo avvolgevano con maggiore densità isolandolo dal resto del parco, da altre persone, che pure dovevano essere presenti da qualche parte intorno, nonostante non riuscisse a percepirne la presenza, quando improvvisamente un raggio di sole si riversò sull’acqua sollevando riflessi rosacei attraverso i quali iniziò a delinearsi la figura di una giovane, graziosa donna, intenta a raccogliere i rifiuti, depositandoli in un mucchio accanto ad un inutile cesto della spazzatura, troppo piccolo e inadeguato per raccoglierne nemmeno una piccola parte.

Misteriosamente attratto dalla scena, si diresse verso quella figura, che intanto stava scivolando dalla sponda di terra e roccia per immergersi nell’acqua, fin quasi ai fianchi, lasciando intravedere la sua gonna leggera fluttuante nei piccoli vortici che disegnava volute armoniose intorno ai suoi fianchi e gambe.

 Lei si accorse della sua presenza e volse il viso e lo sguardo verso di lui.  Elio si sorprese, perché da vicino nel volto di lei si era rivelata un’espressione di intensa malinconia, quasi di sofferenzaTuttavia era molto bella, la sua figura leggiadra e attraente ed era sorprendente come tutto di lei, il suo corpo, le sue movenze, evocassero un movimento fluido, dinamico e  scorrevole e tutta la sua pelle traslucida fosse percorsa da cangianti e mobili riflessi di luce, come l’acqua in cui era immersa.    

Sentì un forte impulso di attrazione verso quella insolita persona e si decise finalmente a parlarle.

“Scusami.” Disse impacciato.“ Sono ammirato del tuo impegno, ma non puoi fare tutto da sola, vuoi che ti aiuti?” – e aggiunse – “ Tanto non ho niente da fare, mi sono dovuto fermare perché il traffico è bloccato e ho pensato che fosse meglio passeggiare nel parco che soffrire in macchina”.

E lei, guardando intorno e scuotendo la testa sconsolatamente – “Sì, tu come molti altri. Vedi tutti questi rifiuti? Sono contaminata, depredata della vita che è in me, soffocata dalle plastiche e da molti altri veleni che uccidono i laghi, mari e distruggono gli oceani”. –

“Nelle campagne e sulle colline fiumi e torrenti sono inquinati o estinti, piante e animali non possono dissetarsi più e anche qui, in questa piccola dimora, e nessuno veramente mi difende

Elio rimase alquanto sorpreso e turbato da quelle strane parole: – “Sono contaminata?”  “Ma cosa dice”? Forse era solo una ragazza ambientalista molto sensibile e bizzarra che voleva esprimere così, in un modo originale e metaforico la sua rabbia, il suo dispiacere.

– “Anch’io non sopporto per quello che avviene nel mondo.” Rispose Elio.  -“Sei veramente brava a darti da fare, ma almeno lascia che ti aiuti, anche se so che serve a poco!” Mi chiamo Elio comunque, e tu?” –

La ragazza non rispose, ma si immerse ancora più a fondo nell’acqua e con ambedue le mani a calice ne raccolse quanta ne potevano contenere mostrandola ad Elio.

  – “Ora sono questa realtà che è la tua realtà, ma sono anche molte altre realtà. Mi vedi sotto questo aspetto perché è quello che a te è più vicino, quello che è più comprensibile perché è quello che io sono e ciò da cui si forma il corpo che vedi. Sono il principio e senza me, nessun corpo, nessuna vita potrebbe esistere”. –

Elio era confuso e turbato, ma le altre parole che lei aggiunse lo fecero veramente sussultare.

 -“Io sono Acqua! Sorella dell’astro di cui porti il nome. Depredata, negletta,  disprezzata, offesa dalle vostre attività dissennate e dai vostri eccessi ” –

– “ Sono questo lago, gli oceani, i fiumi, i torrenti, i laghi e le paludi, i ruscelli, le cascate . Sono il vapore delle nuvole che dà vita ai continenti, torna nelle piogge, si posa sui monti e viaggia nella rocce, sono le rugiade e le nebbie che ispirano poeti e artisti, gli stagni, le fontane, e persino le pozzanghere delle città, sono i miei fiumi, le vene di linfa per tutto il mondo vivente. Sono la culla della vita che nutre e protegge tutti voi e parte di me li pervade animandoli. Sono la bellezza e il benessere, la vera ricchezza che niente può eguagliare ”. –

“La vanitosa Luna trae a sé i miei oceani ogni sera per specchiarsi nelle mie onde più da vicino. Io sono la tua nostalgia e il tuo smarrimento, il ventre in cui hai dimorato, la culla che ti ha protetto, la terra che ti ha allevato e gli alberi che ti hanno abbracciato. Io sono i sogni, che l’acqua racchiude e genera e in voi si riflette ”. –

E aggiunse: – “Rispettatemi, amatemi, proteggetemi!”. –

Un brivido corse lungo la schiena di Elio. Ora poteva immergere lo sguardo in quel volto diafano in cui due magnifici occhi glauchi si schiudevano dalle sue morbide palpebre, veramente come specchi d’acqua limpida. Nel frattempo il cielo mutava in un intenso colore blu velluto e in basso, violaceo e alcune timide vibrazioni di luce stellare iniziavano ad accendersi nella parte più scura e profonda.

 A quel punto tese una mano verso Elio allibito, invitandolo ad avvicinarsi a lei.

-“ Vieni, ti farò vedere la mia origine, prima di essermi formata su questo pianeta, quello che ero e quello che potrei non essere più!” –

Immerse profondamente tutto il braccio fino alla spalla e la mano lasciando che i suoi capelli si dipanassero nell’acqua come dissolti in una brezza sottomarina. Toccò alcuni ciottoli sul fondo e infine ne scelse uno, tirandolo fuori dall’acqua e porgendolo sotto il suo sguardo, mentre lo teneva fra le dita diafane e delicate vide che in esso subito si stava formando uno spazio concavo nerissimo nel quale iniziarono ad accendersi turbinosamente nugoli di stelle e costellazioni a spirali e di varie forme che diffondevano una luce irreale sui loro volti per un tempo indefinibile ed emanando una forza di attrazione che sembrava risucchiare il suo corpo in quella piccola cavità. Il sasso era piccolo ma avvicinando il volto, quella piccola cavità nera e bluastra sembrava contenere un universo più immenso e profondo e al tempo stesso più accessibile, di quello che in quel momento si stava formando al di sopra di loro per il sopraggiungere della notte. Lei uscì dall’acqua con il ciottolo nelle mani e ad Elio sembrò che la sua voce fluida e melodiosa ora evocasse persino il commovente canto delle balene.

-“ Voi chiamate la terra il “vostro” mondo ma è un mondo che non vi appartiene è solo il mondo in cui vivete, guardatela dallo spazio, è un corpo vivo e meraviglioso, raggiante di colori e forme mutevoli. Risplende come nessuna altra cosa a lei vicina. Quello che la rende preziosa e unica in questa parte di universo sono proprio io, il manto di acqua che l’avvolge e la protegge!  Ma sulla  superficie, la realtà è la sua devastazione.Tu mi hai vista così da lontano e ti sembravo bella e sana, solo avvicinandoti hai riconosciuto il mio dolore ma hai voluto comunque aiutarmi, dimostrando di capire e condividere la mia sofferenza”. –

Sentiva che, per qualche misteriosa via, una consapevolezza diversa si stesse trasferendo da quel corpo al suo, da quella irreale figura femminile che ora tendeva la mano offrendogli il sasso raccolto nel lago. – “Prendilo, è il mio dono, per la tua compassione per la tua amicizia, in esso è racchiuso un messaggio!”. disse.

Intanto, il parco si stava animando con il frastuono di molte persone che gradatamente diventavano di nuovo reali e visibili come se lui ora stesse abbandonando quello spazio dimensionale diverso e trasferendo il suo corpo e le sue sensazioni nel suo mondo di sempre, ma questo non bastò a coprire il fruscio veloce del vestito di lei. Si voltò, appena in tempo per vederla scivolare nella nebbia del lago e in essa dissolversi come in un sogno mattutino. Ormai solo e confuso, decise di unirsi alla folla e poco dopo sedeva all’esterno di un bar del parco davanti ad una ordinaria, piccola tazza di acqua dorata di té, mentre continuava a domandarsi perplesso e turbato se si fosse appena svegliato da un insolito momento di sognante auto-suggestione, ma senza rendersene conto sentì le dita della mano destra stringere quel sasso che la fanciulla gli aveva appena dato.

“In fondo, quella che chiamiamo realtà non è altro che la somma di tante piccole illusioni sensoriali alle quali diamo un senso fittizio e distorto, mentre solo alla libertà dei sogni è dato di raggiungere più agevolmente l’essenza delle vera realtà.

Stava per sollevare la tazza per portarla alla sua bocca quando il suo sguardo fu attratto dalla superficie lucida e scura del té che sembrava a un piccolo, microscopico lago. In essa vide riflettersi una porzione di universo che ammiccava dall’alto confortante e gli sembrò di scorgere nel fondo, un sassolino brillante di stelle che suggeriva il passaggio nello spazio cosmico profondo.

Poi si ricordò del messaggio e guardò sulla superficie del tavolino, di fronte a lui c’era il sasso tondo del lago, ma era ormai asciutto, inaridito e inerte e pesava… come un terribile presagio”.

Ennio Forina

Agosto 2012

The Tales Of The Sleepless Oak

Shelter from the storm The Acorn Sower 

 The oak was standing proudly in the middle of a slant uphill, surrounded by a green and shiny carpet of grass just looking like a giant stronghold to keep the mount above from falling down. I had just started to walk inside the narrow boulevard flanking the stream to get a better view of the valley, having sometime to spend by myself before heading back to the dining room at the hotel.

Often, by walking amid trees, I was attracted by the all different shapes and “technologies” that plants use to spread their seeds around. All kinds of marvellous and ingenious methods and different structures and I have always been compelled to pick some of the seeds from places were they could never have the chance to grow and take them to some other easier ground afar so to help them to become a tree.   

Trees are friendly, protect us and many other kind of animals from the summer’s heath, whereas they appease the frozen air in winter.
But it was not just for gratitude to that tree, more than thinking that if I could have done something good for another living being with just a little effort on my part, why miss that chance? People pick flowers or branches with gems and put them in vases to garnish a table where soon after they get rotten, children tear off branches for a stick or for no reason or just not caring about, thus ignoring totally that plants too are living beings.

While I was wondering  in my mind with similar thoughts, I realised that it was time for me to turn back, so I picked up a couple of more acorns from the ground filling my pockets, having in mind to drop them elsewhere later, but at the moment I was turning back toward the hotel, suddenly I felt driven to look at the leafy crown of the oak, up above my head, wandering what made it to grow so strong and beautiful in its dark dress of leaves. What had been the power, the impulse, the energy that gave it so much life and the ability to throw its seeds around like bullets forerun by a sharp crack and far away from itself.

But it was getting late and actually it was like the weather was rapidly changing, clouds over my head were gathering and clumping on each other, the smell of rain and ozone was spreading in the air and I thought would have been better to head to the hotel soon, before some hard rain would catch me on the way back. 

Then, at one point and without even realising it, I started to mentally feel some strange vibes coming from where the oak was. Suddenly, I felt a shiver going trough my back and all the leaves of the crown were trembling and a cold wind raised slashing swiftly through the place and each one of the leaves seemed like a whisper of a fluid melody of words. It was like hearing words in music that strangely I was able to decipher and those words sounded like a warning: -“ Like the most of you humans, what your eyes can see is just the shape of things and not the essence. Don’t you hear the storm approaching? Like so many times before, but it may be harsher and stronger than ever”.

“It’s a storm of many kinds and many faces that can hit from many sides and the only thing that can stop it from hurting is a rare to be found defence!”. 

The oak went on while my full body stood unable to move notwithstanding drops of icy rain were already falling on my face. – “Then you see me like an object and call me a tree, but I am something you are not really able to see and I speak a language that most of you often do not hear. Without me there would be no shade, no rest, no haven, there would be no air to breath or rain to drink no burst of life but nothingness” .-

 “However you’ve been so kind to me” – The oak kept saying ” – “and thoughtful taking my seeds around so I want to thank you for all the things I know giving you the knowledge you deserve to have for your direction and for all the times you’ll come to visit me here, I’ll tell you a story that I know is true and worth to know about”.

Then the rain started to pour and the oak stopped talking but immediately after all the leaves shaken by the winds were singing tuned by the beat of the drops.  

These are my roots, this is my calling. To be an haven for birds and house for many more lives and for all of you if only you would let me grow freely.

I am the harbour of your dreams        

The boat that takes you ashore

A bridge to cross the cliff 

The hatred to be hindered      

The calmness for your rest      

The hope that never fades

The reason to keep walking

The flower you won’t pick       

The snail you did’nt crush

A blanket for your dreams

A shield for your beliefs

The wind you cannot catch

The kindness never lost

The lighthouse to get back

The promise never broken

The trust that doesn’t fail

The bird that flew away

The fawn that you let run

The faith without reward

The regrets you did not keep

The smiles you gave for free.

This is the love above your love,

The love beyond all loves

That spreads its seeds all over,

that is the Tree of Love.

And Love is just the Tree

that shelters from the storm.

ennio forina