“Questa città non è grande abbastanza per noi due”.
La classica locuzione dei film western americani che preludeva al duello finale tra i due gunmen antagonisti, penso sia la giusta metafora di quanto sta accadendo in questi mesi.
La globalizzazione, come era prevedibile, ha fallito lasciando solo macerie del pianeta vivente, consentendo a tutti di appropriarsi di tutto, così nelle menti perverse che l’hanno pianificata e attuata che hanno rilasciato i demoni dello sfruttamento incontrollato delle “risorse”, ogni nazione per suo conto e per sua convenienza, ha avuto ancora più motivi per succhiare come parassiti voraci il sangue del pianeta.
Potrei fare un lunghissimo elenco di esempi noti, senza contare gli innumerevoli altri nascosti alla consapevolezza comune e comunque reperibili dal web.
Balene, delfini, foche, rinoceronti, elefanti, tigri, leoni, bovini, suini, oche, uccelli e poi minerali petrolio, oro, argento, rame…alberi, detti anche legname…e mi fermo qui per non tediare troppo chi vorrà addentrarsi nella lettura di questa riflessione.
Il fatto è che non parliamo più di una piccola città dove si scontrano due singoli contendenti, ma parliamo di un mondo umano divenuto sempre più imponente ma barcollante ed estremamente e drammaticamente complesso.
La corsa sfrenata allo sviluppo, al profitto e alla crescita e la disponibilità quasi illimitata di cibo animale e vegetale industriale ha prodotto l’esponenziale aumento della popolazione umana, che in un collettivo delirio di onnipotenza pensa che fare figli all’infinito sia un sacro dovere, – anche se questo va a scapito dei figli di altre specie animali e di tutti gli equilibri naturali- senza rendersi conto che se una specie, qualsiasi specie, si moltiplica troppo rispetto ad altre, i delicati equilibri del mondo vivente si rompono in breve tempo generando il disastro per tutti e senza parlare della famosa etica superiore di cui ci vantiamo non confermata dai risultati delle nostre azioni.
Dunque la locuzione iniziale dovrebbe essere declinata così: Questo mondo non è grande abbastanza per la molteplicità di tante grandi e piccole nazioni, che succhiano come vampiri la linfa vitale del pianeta mummificandolo e incendiandolo e pensando ingenuamente che possa facilmente risorgere come la Fenice dalle sue ceneri.
Purtroppo, alla fine di un ordine fittizio generato dalla volontà comune di far soldi e appropriarsi di spazi sempre più grandi nella competizione finanziaria e commerciale ciò che resta è il deserto.
A differenza di altri momenti nel passato, non ci sarà la guerra per il cibo, con l’industria carnivora e i pesticidi e le macchine produttive c’è ancora persino troppo cibo per tutti, ma il cibo si fa con l’acqua e non è così facile fare l’acqua come si fanno gli orrendi allevamenti.
E comunque, la famosa crescita agognata e bramata da tutti i popoli porta inevitabilmente alla crescita del già smisurato, mostruoso, insaziabile appetito di tutti per i territori e le “risorse” in essi contenuti.
È stato abbattuto un equilibrio prodotto da una permeabilità misurata delle nazioni, scatenando la “Gold Rush” globale e incontrollata del profitto. Ecco perché ci sarà una guerra generalizzata, della quale stiamo constatando l’inequivocabile preludio, mentre i politici e i poteri finanziari del mondo dalla visione corta, pensano soltanto ai giochi di potere e controllo, senza capire che il bubbone della crescita “whatever it takes” sta per scoppiare in mano a tutti.
C’è chi esorta gli elettori a dotarsi di occhi di tigre, quindi ad assumere uno sguardo feroce, non si sa bene per quale tipo di utilizzo se non per fornire un ulteriore motivo di bracconaggio ad uso dei tanti coglioni e rappresentanti abbietti della domanda e offerta nel mondo, che stanno facendo estinguere anche il nobile felino, credendo che i suoi testicoli possano conferire miracolose e formidabili potenzialità sessuali e mentre nessuno dai media, si pone il dilemma di cosa esattamente significhi munirsi di occhi di tigre, quale significativo messaggio rivolto alla parte politica e al popolo di elettori, per la risoluzione dei drammatici problemi di perduto benessere e mera sopravvivenza.
Ma c’è chi nell’agone della politica propone di piantare un milione di alberi, auspicando città circondate da boschi e costui viene puntualmente deriso come se avesse detto la più inverosimile e assurda stupidaggine. Certo, gli occhi di tigre hanno il potere taumaturgico di sconfiggere le pandemie, stimolare l’economia reale, creare posti di lavoro, giustizia sociale e dulcis in fundo, di risanare i nostri guasti ed evitare il disastro climatico globale. Macché alberi! Che se ne fanno gli elettori degli alberi? A che servono gli alberi? Tutte cose risibili: mitigano le temperature negli inverni e le rinfrescano nelle estati, causando gravi risparmi di energie, arricchiscono il suolo impedendo la desertificazione, assorbono e metabolizzano le nostre dilaganti sostanze inquinanti peggiori e rendono l’aria respirabile, mantengono l’integrità dei terreni collinari e montuosi impedendo le frane di rocce e i disastrosi, spesso letali, smottamenti fangosi, ospitano ecosistemi fondamentali per la flora e fauna di un territorio e del pianeta stesso, producono cibo per noi e tutti gli altri animali e molte, molte altre funzioni benefiche, ma volete mettere gli alberi come protagonisti di una campagna elettorale seria? E no! Serve la litania del popolo sofferente che non arriva a fine mese (io direi nemmeno alla prima decade del mese), tutti incredibilmente bravi a fare l’elenco dei problemi senza mai fare quello delle soluzioni, senza mai indicare effettivamente “come” soddisfare tutte le puntuali promesse che vengono proclamate da tempo immemore dai vari pulpiti della politica; bisogna…, si deve…, vogliamo fare…, creare posti di lavoro…, semplificare la burocrazia…, – che al contrario diventa sempre più intricata e labirintica -, migliorare la fiscalità, la giustizia, la solidarietà sociale, il compimento e la realizzazione di opere atte a dare impulso all’economia e allo stesso tempo, dicono, salvaguardare quello che loro chiamano “ambiente” ma per me si chiama il “pianeta vivente”. L’ambiente sono le case, i salotti privati e televisivi, i supermercati e purtroppo le infinite strade che si irraggiano come metastasi di un cancro inarrestabile che divora e distrugge tutti gli spazi vitali. No, per me ciò che vive non è “ambiente” e nemmeno “natura”, ciò che vive si chiama Vita. Sono vivi i campi liberi, sono vive le colline e i litorali, sono vive le rocce e le montagne sono vivi i ruscelli e gli stagni e i laghi e i mari e vivi sono i venti e i cieli dove volteggiano le ali degli uccelli e tutti gli esseri che con la loro semplice presenza rendono la Vita ancora più viva.
Io apprezzo che nel contesto politico qualcuno si avventuri a sue spese, offrendo il fianco ai vuoti sarcasmi degli avversari a dare un minimo di evidenza alla orrenda questione e condizione degli animali, ma ritengo necessaria una nota aggiuntiva al relatore della dichiarazione d’intenti: – Gli animali, non si devono amare quando e perché amano noi e sono fedeli – come del resto anche tra gli umani non ha senso e non serve a nulla amare per per un ritorno compensativo di affetto o servizi, questo non è amare. Gli animali devono essere rispettati rispettando i loro naturali diritti esistenziali poi va da sé che si possono stabilire connessioni relazioni affettive più o meno profonde e sostanziali con loro e tra loro, secondo la specie interessate e secondo la koinè comune dei gesti, degli sguardi sopratutto e dalle auree di energie buone e/o cattive che gli animali sanno percepire e distinguere molto più di quanto possiamo farlo noi, ma questo non fa differenza, tutti gli animali sanno vivere e vogliono ugualmente godere il prezioso dono di essere quello che sono in pace.