Anche quest’anno, come ormai avviene da qualche tempo, al centro del grande abbraccio del bellissimo colonnato del Bernini, si vedranno stagliate insieme verso il cielo, altre due colonne di forma e materia diversa, ma che hanno almeno due fattori in comune, ambedue sono state strappate a un mondo lontano e ambedue saranno senza vita, ma con la differenza che mentre una di queste colonne la vita non l’ha mai avuta, l’altra invece sì, e ne aveva tanta. Era una vita bella e munifica, colma di sensazioni che aveva impiegato molti anni a svilupparsi e diventare adulta e crescendo generosamente aveva offerto il suo corpo prodigo e odoroso come sicuro conforto, riparo e cibo per molti altri esseri viventi specie nella stagione invernale, passeri, scoiattoli, corvi, caprioli, insetti, solo per nominarne alcuni e di fronte aveva ancora la certezza di una lunga esistenza nella quale avrebbe continuato a donare la sua brava parte di ossigeno a questa porzione di pianeta soffocato da gas venefici e letali immessi nell’atmosfera dalle attività umane, sostanze che solo gli alberi sanno e possono metabolizzare e rendere innocue per gli esseri viventi in genere, così come fecero consapevolmente eoni fa per mutare l’atmosfera densa, greve e tossica del pianeta primordiale in una mistura di gas gentili e che ora costituiscono il carburante per i polmoni e il sangue di quasi tutte le forme viventi, dentro e fuori dell’acqua, inclusi gli ingrati bipedi umani, sedicenti “esseri pensanti” che ancora oggi continuano a sacrificare la vita altrui per celebrare le loro tradizioni negli stessi modi barbari in cui i popoli antichi e pagani le celebravano.

Non potremmo esistere senza le piante, non saremmo comparsi su questo pianeta se non fosse stato per le prime cellule vegetali, né mai dalle distese dei mari saremmo approdati sulla terraferma senza di loro. Le studiamo per carpirne i segreti, le loro funzioni e le innumerevoli sostanze che esse hanno saputo sintetizzare per la loro sussistenza (senza aver frequentato corsi universitari e laboratori), per la loro diffusione e per l’interazione simbiotica con le altre forme di vita animale. Pensiamo agli alberi più che altro come dei grandi oggetti mutevoli e decorativi che producono semi e frutta e che lasciano cadere le foglie in autunno come se seguissero processi automatici, che sbrigativamente e superficialmente definiamo “naturali”, dando a questo termine il più vago e superficiale significato e ancora oggi come sempre, nonostante le evidenze scientifiche, quando basterebbero anche solo quelle intuitive, si pensa ad esse come forme di vita inferiore e non pensante e comunque suddita della vita umana.

Siamo immersi nella più profonda e ottusa ignoranza senza riuscire minimamente a immaginare che cosa significhi per una pianta vivere e interagire non solo con l’ambiente circostante ma con il cosmo, noi che ci reputiamo intelligenze superiori, noi che ci esponiamo ai raggi del sole seminudi sulla spiagge estive con i nostri pensieri corti, focalizzati sulle nostre banalità culturali, come far bella figura al ritorno delle vacanze con una bella abbronzatura, ma per il resto pensiamo che il sole o una fonte di luce e calore per noi non fa differenza, basta che dia luce. Noi, non i nostri organismi, che sono il più delle volte più intelligenti del nostro “superiore” cervello “sapiens” cercano la luce del sole perché sanno decifrarla e impiegarla. Non riusciamo a immaginare che le piante, oltre a “pensare” in modo del tutto autonomo, sono anche in grado di comunicare e di percepire molte più cose di noi e di quante noi possiamo immaginare. Sono esseri viventi intelligenti, senzienti e noi le trattiamo come oggetti.

Molto, molto tempo prima che noi smettessimo di considerare il sole una divinità a cui offrire sacrifici sanguinari tanto crudeli quanto idioti, le piante sapevano già sfruttare la sua energia con sistemi biochimici sofisticatissimi, tuttavia non abbiamo ancora finito di sacrificare animali alle improbabili divinità di molte culture umane, così ancora una volta e chissà per quanti anni a venire, saremo spettatori dell’ulteriore sacrificio di uno di questi giganti verdi, spezzato, umiliato, soffocato dai decori luccicanti festivi, e condannato come tanti suoi simili più giovani ad una lenta agonia in cui il loro inascoltato gemito di morte si spegnerà fra le luci, le risate e gli abbracci delle festanti famiglie umane o delle loro truculenti cene e pranzi festivi. Questa splendida colonna di vita emanava vera gioia da viva nei luoghi in cui era nata, fra le pendici montane, con il suo respiro, i suoi colori il suo profumo ed ora ricoperta di luci fatue che nascondono a malapena la sua decomposizione, verrà lasciata ad avvizzire come un triste simulacro di falsa felicità coperto di addobbi che nasconderanno la sua agonia e le cui foglie durante tutto il trasporto e la collocazione in situ, avranno cercato invano di dialogare con le radici perse per sempre. Ma quello che ancora più sconcerta è che nonostante la consapevolezza , la conoscenza scientifica acquisita, della vita che scorre nella linfa di tutte le piante e della loro evidente intelligenza continuiamo a considerare le piante come in secoli e millenni di storia umana incolta del passato e per questo il genere umano è doppiamente e crudelmente colpevole.

Senza contare che perseverando in queste forme culturali di uso indiscriminato delle forme di vita, significa insegnare ai piccoli della specie umana a disprezzarle invece che ad amarle e non serve poi gridare “Natura, Natura” mentre la si distrugge nelle nostre stesse case per la nostra protervia ignoranza.

E lo stesso genere umano che pretende da vari pulpiti di voler proteggere l’ambiente che pensa di possedere, non sa insegnare ai propri figli amore e rispetto verso queste creature portatrici di protezione e benessere essenziali per tutto ciò che vive su questa terra, nemmeno in quei comportamenti abituali, in quei gesti apparentemente innocui ma offensivi che ogni piccolo umano rivolge verso le piante in genere, come strappare i rami solo per noia e per impulso, rivelando di non aver assimilato affatto la cognizione che una pianta è un animale e che se produce rami e foglie non lo fa per il sollazzo dei bimbi ma per vivere la sua vita, e se non insegnamo nostri infanti di avere rispetto del ramoscello, dell’arbusto o del piccolo albero, non saremo mai capaci di fermare la distruzione delle foreste.

Anche questa volta un albero sarà sacrificato, in più dei tanti, che vengono fatti nascere per essere uccisi e non per produrre gioia ma profitti, sacrificati sull’altare dell’ignoranza e del sopruso, ad una interpretazione fallace e distorta del concetto di felicità e sacralità. La sua “esecuzione” finale sigillata nel fuoco che consumerà il suo corpo nei vari forni, non è diversa dal rogo di un’altra piazza, in un altro tempo. Allora non si volevano ammettere le evidenze rilevate da una mente geniale ed evoluta, qui ed oggi si ignora l’evidenza di una realtà vivente che finisce miseramente bruciata nel rogo di una tradizione peraltro aliena in questo luogo e cultura. Le puerili e insulse dichiarazioni provenienti dai media che giustificano l’uccisione dell’albero per natale con la semina compensativa di altri alberi, (anch’essi in gran parte da sacrificare) aggiungono al danno e alle ferite le beffe se anche non si riesce a capire che continuando a volere un albero vero ad ogni natale si causerà l’allevamento forzato di questi schiavi destinati al sacrificio. Noi parliamo di vite, loro parlano di prodotti, non riconoscere quest’albero come essere vivente e senziente a tutti gli effetti e la sua ingiusta condanna a morte, significa essere totalmente immersi nel buio della ragione, oltre a quello dell’anima La gioia che esige il prezzo di una vita – quale essa sia – non potrà mai essere una vera gioia. Se si trovasse un arbusto su Marte o sulla Luna grideremmo al miracolo e lo chiameremmo “vita” e faremmo di tutto per proteggerlo, ma qui, sulla terra lo chiamiamo “cosa”, questo vuol dire anche che imparare e ritenere cognizioni senza capire il loro significato sostanziale equivale a non sapere nulla.

Ma gli eventi passano e passa anche l’illusione della gioia festiva, dei fuochi artificiali, degli addobbi e dei decori e quando tutte le luci della festa si spegneranno, più tardi e altrove, si accenderanno le luci dei piccoli roghi dei pezzi del gigante verde e dei tanti piccoli roghi di tanti altri piccoli di giganti verdi che avranno subito la stessa sorte in milioni di case, ovunque nel mondo, in un atroce farsa di sangue verde. Essere nati o fatti nascere solo per essere torturati in due settimane di falsa allegria. Come si può pensare che un albero mutilato dalle radici, possa portare la vera gioia che manca negli spiriti nelle case umane abitate da esseri che non sanno distinguere ciò che è vivo da ciò che non ha vita propria, potrebbe significare che i veri morti sono tutti coloro che pur essendo consapevoli, continuano pervicacemente a celebrare una festa attorno ad una vita che muore, anelando per quella luce solare e quell’acqua piovana che aveva conosciuto nascendo e che gli aveva dato l’illusione del luminoso futuro che gli spettava di diritto.

Ennio Romano Forina – novembre 2017

Indagine sulla Perversione

Quando si fa riferimento alle perversioni il pensiero immediato va alla sfera della sessualità, come se le perversioni si verificassero solo in quell’ambito.

In realtà le perversioni sono innumerevoli e attengono a molte delle attitudini e scelte arbitrarie del genere umano.

È perverso tutto ciò che si fa per prepotenza volontaria o indifferenza e superficialità.
Ogni azione invasiva o brutale che si compie senza porsi la domanda se sia giusta o meno, se non arrechi danno alle altrui esistenze, può essere perversa. Tagliare dei fiori per farli marcire in un vaso è una perversione. Un prato d’erba gradevole ai nostri gusti è una perversione, un albero o una siepe ritagliati e costretti a rappresentare forme geometriche forzate sono una perversione, la distinzione fra piante decorative ed “erbacce” è una perversione.

Ancora per far divertire i bambini si regalano retine acchiappafarfalle, questa è una peversione.

Costringere un cavallo a trascinare un carretto o ad essere sellato per portare un centauro è altrettanto una perversione. Cosa distingue una perversione da un atto invece simbiotico e collaborativo? Tre cose essenzialmente: una motivazione opportuna in senso universale, l’assenza di un abuso di potere e infine il beneficio o il male che dall’atto consegue, tra chi lo effettua e chi lo subisce.

Nella sfera della sessualità, la perversione semantica e linguistica è la prima evidenza per un utilizzo deforme di una funzione creativa e benefica che non dovrebbe essere soggetta a regole arbitrarie e culturali imposte e corrisponde alla perversione mentale che ha deformato il concetto e la funzione della sessualità anche in senso ludico.
Nel linguaggio comune è subentrata l’espressione “fare sesso” al posto di “fare l’amore” o persino, a metafore popolari come “scopare” ad esempio, non essendovi in alternativa, altre espressioni mediane fra quelle cliniche e quelle volgari, dispregiative, popolari. Questo perché la sessualità è ancora vissuta come una cosa sporca, se esce dai parametri convenzionali del momento storico, condizionati da rituali specifici adattabili alle diverse situazioni.

L’unione di due corpi e lo scambio dei fluidi di due organismi, diventa preda e oggetto delle deformazioni culturali stratificate della mente umana e infatti l’espressione”fare sesso” è del tutto errata, il sesso è un genere con il suo ambito, quindi il sesso non si può “fare” o avere, ma si può vivere semmai.
Di fatto questa locuzione di derivazione anglosassone corrisponde alla trasformazione dell’atto in un oggetto, una cosa, un esercizio funzionale e non a una esperienza creativa e mistica che dovrebbe coinvolgere sia lo spirito dell’organismo che quello dell’anima sensibile, così come dovrebbe essere, laddove il “fare sesso” non è diverso nella sostanza di fare jogging.

Quindi la vera perversione non è nell’atto stesso quando esce dai parametri convenzionali, ma nella motivazione e nella qualità dell’impulso che lo genera “prima” ancora che si compia l’atto stesso.

L’intelligenza della vita ha ideato impulsi e stimoli del piacere che non sono limitati alla mera procreazione, poiché essi sono impulsi vitali che devono essere sempre attivi, appaganti e variegati come varia, appagante e variegata è la creatività della vita stessa, così come altri impulsi che sono attivi indipendentemente dalla nostra volontà e danno sensazioni piacevoli salutari, insite nelle funzioni del vivere e del respirare, come il battito del cuore e il respiro.
Poiché la potentissima energia espressa dalle funzioni organiche dell’amore, può avere un immenso potere di scambio, quindi economico, la mente umana, nella sua generale attitudine perversa, ha capito di poterla sfruttare per ottenere cose del tutto diverse da questa energia e dalle ragioni per cui questa energia esiste, ed è questa la vera perversione fondamentale, ma solo una delle tante che vengono attuate, per ogni cosa su cui si possono mettere le mani e che viene così deformata a piacere per saziare questa mostruosa cupidigia che caratterizza la specie.
Anche gli impulsi che possiamo in parte regolare, finiscono dunque con il subire i danni dall’attitudine di deformare le funzioni per sfruttarle narcisisticamente allo scopo di ottenere cose diverse da ciò che deriva dalla bellezza e armonia della funzione stessa.

Siamo in grado a volte di fare cose lodevoli e di estendere il sentimento della compassione ma la predisposizione alla prepotenza malefica è ancora di gran lunga dominante nella mente e nelle culture della gran parte dell’umanità.

Da “A Different Evolution” di Ennio Romano Forina

Dentro, l’Inferno.

Le cose più belle e sublimi l’umanità le fa solo quando le attinge dall’Amore Cosmico. Quando esce da sé stessa e ama davvero, collegandosi al Tutto e fraternamente a ogni singola energia vivente.

Dentro di essa vi sono le cose peggiori, la spazzatura brutale, i dispotismi, le mistificazioni religiose, l’asservimento della realtà vivente, ora una umanità intossicata dalla droga razionale e tecnocratica che genera illusioni di superpoteri e in cui tutto diventa conflitto per il possesso infinito, che infetta e distrugge sempre di più questo fenomeno che chiamiamo Vita.

L’umanità è tuttora quello che è stata nelle generazioni precedenti e ogni singolo individuo porta il retaggio delle malvagità commesse dagli antenati di noi tutti, di tutti i generi e di tutte le stirpi, se non si comprende questo l’umanità si condanna da sola a soffocare nell’ambizione del dominio invece di elevarsi e prosperare nell’ambizione dell’Amore.

Ennio Romano Forina