Quella che sei

In una Notte di Versi Pieni di Luna

Mi sono seduto nella notte profonda
e la Luna piena veleggiando dal cielo,
si è seduta al mio fianco
perché le ho chiesto di parlarle di te.
E lei mi ha risposto, prima di tornare
a danzar con le stelle: “So già tutto di te…
solo il pensiero di chi ama davvero
può superare lo spazio e raggiungere me”.
“Non devi far altro che seguire il tuo cuore,
non devi far altro che essere quello che sei.”

Ti voglio strega e ti voglio fatina
legarmi ai tuoi incanti
per poi scioglierli ogni volta
e in nuove magie essere avvolto
voglio vederti correre via
per aspettare che torni
Ti voglio fiera e ribelle
per inseguirti sempre
Ti voglio elettrica e misteriosa
voglio essere nelle tue stagioni
e in tutti i tuoi contrari umori
in ogni giorno e in tutte le notti
voglio proteggere i tuoi sogni
rassicurarti e farti ridere
farti arrabbiare, sorprendere sempre
ma mai annoiare
per le mie parole e gesti d’amore
ti voglio così come sei
voglio vedere i tuoi capelli
come il vento fluttuare
e tuffarmi nelle loro tempeste.
Come il tempo ti voglio
mutevole, improvviso importuno persino
ti voglio spavalda e distante
affamata di abbracci caldi e infiniti
ma anche affettuosa e ti voglio amante
di carezze e baci mai sazia
ma ti voglio anche arrabbiata, ti voglio ribelle
ti voglio ammiccante e sensuale
voglio che tu mi seduca,
che mi prendi in giro
ti voglio monella e ti voglio solare
ti voglio vogliosa,
ti voglio fiera e bellicosa
ma poi arrendevole e dolce
ti voglio vento e correnti marine
navigare nelle tue acque in burrasca
affondare nei tuoi vortici d’onde
ti voglio arruffata e sfrenata
ti voglio lunatica, misteriosa
ti voglio prigioniera e liberata
timida e coraggiosa
ti voglio quando sei triste e ti lasci andare
voglio sentire i tuoi sospiri gridare
scorrere sempre sul mio viso
come una brezza marina
e come un fortunale improvviso
e come onde che cullano il sonno.
Ma sei già tutto questo
e non voglio volerti diversa
non voglio altro da te
che essere sempre
quella che in ogni attimo sei.

Ennio Romano Forina 2018

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Andrea

Andrea era seduto sul bordo di quel relitto di barca lasciato di fronte al mare inclinato e con una parte della fiancata sfondata mezza riempita di sabbia e altre scorie portate dalla marea. La spiaggia era deserta, troppo freddo ancora, tanto più che l’epidemia e le disposizioni di contenimento avrebbero comunque impedito gli afflussi di persone, nemmeno per prendere il sole, ma Andrea era riuscito a uscire di casa con la sua brava mascherina e con i pattini e a raggiungere rapidamente la sabbia dove nessuno poteva notarlo. Un paio di settimane prima aveva fatto un brutta caduta fratturandosi un polso ma riusciva lo stesso a pattinare abilmente ma non come prima e  adesso era costretto a stare ancora più inattivo per via del braccio ingessato che teneva appeso e stretto da una fascia al collo.

Ma non era la frattura del polso che pesava sul cuore di Andrea, era la ferita aperta nel suo cuore, poiché un anno prima la tragedia aveva colpito la sua famiglia inaspettatamente, come spesso accade alla maggior parte di persone, eventi drammatici e ineluttabili possono accadere improvvisamente spazzando via la luce e l’allegria in un attimo, allora si comprende la vulnerabilità dell’essere ma allora è anche il momento di trovare le formidabili risorse latenti dell’essere. La morte stupisce, perché non se ne comprende il senso, perché arriva quando non dovrebbe e si vorrebbe che non arrivasse mai, specialmente quando è troppo presto. Ma come può un ragazzo di 15 anni affrontare la realtà dura della morte perdendo il genitore che dovrebbe insegnargli a metabolizzarla a non averne paura?

A non considerarla la fine di tutto o come una punizione ingiusta? Normalmente tutti i giovani non si rendono conto della morte, a 20 anni sentono il bisogno di provare e testare il loro coraggio, le loro capacità fisiche, affrontando prove e sfide insieme ai propri compagni. L’ho fatto anch’io, come tutti, arrampicandomi sulle rocce, passando sotto le gallerie dei treni, salendo sugli alberi, facendo discese vertiginose in bicicletta, nuotando nelle pericolose acque di un lago, che ogni tanto inghiottiva qualche incauta giovane vita che contava troppo sul suo fisico e per un semplice malore annegava.

La volontà di provare il proprio coraggio e la prestanza e quindi, di pavoneggiarsi di fronte alle ragazze è sempre stata abilmente sfruttata dagli scaltri tiranni di tutti i tempi, che rapinavano la vita dei giovani con la lusinga di gloria e patacche luccicanti su divise di smaglianti colori e inutili bottoni dorati in cambio di farsi scannare sui campi di battaglia per niente.  E la maggior parte si faceva convincere sempre. Se non morivano perdevano braccia, gambe, mani occhi e diventavano relitti, proprio come la barca su cui Andrea ora stava sospeso come sospeso in un limbo, cercando inconsciamente risposte che nessuno in ciò che restava della famiglia era riuscito a dare, nemmeno i suoi amici, dal magico schermo dello smart phone non venivano risposte né dagli amici virtuali né tantomeno dagli smart programmi  che hanno la pretesa di sapere e anticipare quello che pensiamo. Nessuno era riuscito a lenire in lui il dolore acuto di quella perdita. Perché? Quale punizione si era meritata la sua famiglia fino allora tranquilla nella normalità come quella di tante famiglie? Perché suo padre gli era stato tolto?

Aveva provato a esprimere quel dolore all’esterno, a liberare la sua mente dall’oscurità che era scesa di colpo in lui e non lo abbandonava da un anno.

Aveva provato ad esternarlo, agli amici e in famiglia, ma non aveva ottenuto risposte soddisfacenti e alla fine e l’angoscia di non trovare ragioni e giustificazioni a quella ingiusta perdita, il dolore era rimbalzato indietro avvolgendolo e imprigionandolo in una cappa di grigiore e desolazione che impediva di tornare ad essere il ragazzo pieno di energia e sogni di prima, ed era proprio questo il punto cruciale della sua impotenza nel liberarsi da quel tormento accettandolo, perché nella sua mente giovane e ferita, l’accettazione della morte del suo amato padre con il quale aveva anche a volte fatto un po’ troppo il ribelle, voleva quasi dire che lui ne era in parte responsabile, in un tortuoso vortice di pensieri che si ripiegavano su sé stessi inconsciamente.

Se ne avesse compreso il senso, l’avrebbe accettata mentre rifiutandola la frustrazione derivante assumeva i contorni di incerti e confusi di una colpa che non poteva attribuire ad altri se non al destino ma non potendo prendersela né con gli altri né col destino, Andrea aveva cominciato a prendersela con sé stesso.

Ora il suo sguardo si posava sulle piccole ferite che aveva inflitto al suo braccio, forse sperando che la sofferenza che aveva nella sua anima e nella sua mente offuscata dal dolore, potessero uscire al di fuori di lui attraverso quei tagli e disperdersi fino a svanire, ma in realtà lui stava chiedendo aiuto, chiedendo che qualcuno potesse guidarlo fuori da quel labirinto di dolore prendendolo per mano.

Io, lo scrittore, sono come un detective, raccolgo indizi per conoscere le ragioni di un delitto o delle offese, penso che Andrea non potesse essere consapevole di questa indagine che lui da solo non poteva fare, ma la sua anima lo richiedeva gridando, per quello se ne stava lì accasciato nell’aria umida salmastra che si colorava della luce del tramonto, fissando le onde mentre il disco solare si apprestava a riposare coprendosi con le coltri di rosse onde lontane all’orizzonte.

A un tratto, un uomo si avvicinò a lui, aveva notato questa presenza da lontano, un uomo con una specie di rastrello in mano e un sacco, con il rastrello smuoveva la sabbia e ogni tanto raccoglieva qualcosa e la inseriva nel sacco, un uomo dalla pelle segnata dal sole, né giovane, né vecchio, né alto né basso, che ora si fermò davanti a lui guardandolo come se stesse rimproverandolo con occhi del colore di giada.

L’uomo sorrise appena ad Andrea e poi fece una smorfia di disappunto vedendo le ferite sul suo braccio. Poi scuotendo il capo lentamente disse: “ No, no, questo non serve, non devi farlo non ti aiuterà”.  Andrea restò colpito dalle sue parole e dal tono calmo soffice della voce, che lo avevano appena scosso dal suo torpore sensoriale, costringendolo a guardare il volto dell’uomo che continuava a guardare le ferite passando da queste agli occhi, mentre si sedeva accanto ad Andrea appoggiando il rastrello e il sacchetto sul bordo della barca.

Quindi con tono rassicurante: “Aspetta, disse so io cosa ti serve, metti via il cell e ascoltami bene, ora ti faccio vedere due cose:” così dicendo mise una mano dentro il sacco e raccolse una grossa conchiglia vuota e lucida e un sasso perfettamente levigato dal movimento delle correnti marine dal fiume che lo aveva portato lì. E Andrea a lui: “Ma tu chi sei? cosa fai con quel rastrello?”  “Io sono un pulitore, lo vedi, elimino le scorie i rifiuti che inquinano la spiaggia, vado su tutte le spiagge e impedisco che queste scorie soffochino la vita nel mare e il mare stesso, è il mio compito, ma a volte mi capita di ripulire la mente delle persone dalle scorie che soffocano i loro pensieri come questi rifiuti uccidono la vita nel mare”.

“È un compito che ho dovuto assumere, quando serve, e qualcuno mi chiama intervengo, solo che non uso il rastrello”. Detto questo prese il sasso nella mano porgendolo ad Andrea che sconcertato da quelle parole lo guardò con curiosità  ma senza scomporsi molto, non capiva che importanza potesse avere quel sasso.

L’uomo fece  richiudere la mano di Andrea sul sasso e con parole molto serie come quelle che aveva spesso udite da suo padre per esortarlo a stare attento ai pericoli, a non correre rischi, l’uomo strinse la sua mano intorno a quella di Andrea sul sasso e iniziò a parlargli: “Ascolta ragazzo, ora devi fare come ti dico io, la tua mente è piena di paura e sei smarrito, ma tu non puoi sapere, perché hai paura, perché temi quello che non sai, che non conosci, che esiste solo in te, sono i rifiuti di pensieri sbagliati, che inquinano e impediscono a quelli giusti di farsi strada in te, ora ti dico che per qualche minuto devi abbandonare la tua mente e sentire quello che il sasso vuole dirti. Concentrati sul sasso e non pensare ad altro, non pensare a nulla. La tua realtà adesso è solo quel piccolo, ma immenso universo che è dentro la materia del sasso. Andrea provò a slegare il flusso dei suoi pensieri seguendo l’invito e a immergersi nella sensazione che quel sasso iniziava a dare alle percezioni della sua mano, mentre l’uomo piano sussurrava. “A poco a poco sentirai che quel sasso non è solo una pietra, ma pura energia condensata e se la tua mano riuscirà a percepire quella energia, la stessa entrerà in te purificandola come il rastrello scava nella sabbia e la  libera dai rifiuti. Non devi pensare all’energia, devi solo aprirti ad essa, lasciarla entrare in te, così la tua mente sarà in grado di liberarsi delle sue ombre e scaricandole sul sasso che a sua volta le eliminerà. Il sasso raccoglierà le tue ombre come il mio sacco raccoglie i rifiuti.

Restarono così per molti minuti sospesi, mentre la mano di Andrea si stringeva sempre più forte al sasso  come se fosse un appiglio sicuro scalando una montagna o una provvidenziale fune gettata a un naufrago in balia delle onde. Andrea iniziava a sentire qualcosa avvenire in lui, una sensazione di chiarezza come quando viaggiando, si diradano i vapori densi di una nebbia, e la strada appare. Stava sentendosi bene, quel lasso di tempo di poche decine di minuti aveva spezzato il  vortice del cattivo incantesimo che lui stesso aveva fatto.

Sì, qualcosa stava cambiando in lui. L’uomo allora gli disse di rilasciare il sasso lo prese e lanciandolo tra le onde disse : “Ecco! Quel sasso si è portato via tutti tuoi fantasmi e il mare li disperderà, è stato modellato dall’immensa energia del mare. Detto ciò l’uomo prese in mano la conchiglia vuota: “Vedi, un tempo qui dentro c’era un essere vivente, ora è vuota, ma la vita che era dentro non è morta, si è solo spostata è ritornata alla sua origine, è stata accolta nel grembo e nella culla della vita da cui è partita. Nessuno di noi se ne va per sempre, si cambia soltanto dimensione, ma si rimane avvinti nell’energia di amore che non cambia mai. Tuo padre ti ama, ma dove si trova ora non può’ parlarti con le stesse parole di prima, così deve essere altrimenti tu non saresti nemmeno nato, non ci sarebbe nessuna vita senza il divenire e la trasformazione da uno stato all’altro ma l’amore resta sempre stanne sicuro, e se tu ami tuo padre lascialo stare dove sta, fallo stare tranquillo, se ti fai male lui soffrirà davvero, lui vuole che tu sia forte e proceda nel sentiero futuro che ti appartiene e quindi che tu sia tranquillo. Lui già ti sta parlando come prima, ma in altri modi, sei tu che non lo ascolti.

Quindi, ora lascia stare la tua mente che serve ad altre cose, non pensare a tuo padre con la mente, apri lo sguardo e le orecchie dell’anima e del cuore e sentirai la sua voce, te l’assicuro, io l’ho so.

Andrea era scosso ma sentiva come se un macigno che pesava sul suo capo fosse stato tolto, ora per quanto l’oscurità stesse avanzando rapidamente tra i colori del blu profondo indaco e arancio del sole che si accomiatava dietro l’orizzonte e un vento teso lo spruzzava di schiuma salmastra, vide le onde che danzavano allegre davanti a lui e alzando gli occhi il cielo che si accendeva di ridenti timide stelle. Mentre contemplava queste cose non si accorse nemmeno che l’uomo non era più accanto a lui, sembrava improvvisamente sparito, si volse di scatto indietro e vide un lampo di ali colpite da un fascio di luce solare, sembrava un gabbiano che si levava in volo svanendo nel nulla, ma in quel turbine di vento bianco una piuma roteando intorno si posò sulla sua mano ancora aperta, la guardò stupito mentre nel cuore sentiva una voce senza suono.

Ennio Romano Forina Marzo 2020

La Promessa del Mirto

Racconto celebrativo per il 17 Marzo, 1861 – 2020ITALIA-LASTENNIO-august 2019 .jpg
La Repubblica Italiana.
 
Si era appena ripreso, riverso a terra, dopo essere stato ferito da un colpo di moschetto, si era nascosto nei fitti arbusti, mentre il sole lentamente illuminava la cupola d’aria sul monte Gianicolo. Da lì poteva vedere solo una piccola parte dei tetti e i ruderi della splendida Roma antica che si estendeva ferita oltre il pendio della collina.
I cannoni francesi avevano tuonato inesorabili tutto il giorno prima e il fumo delle esplosioni aveva coperto gli odori dell’estate appena iniziata, dei fiori sbocciati e degli alberi rigogliosi di foglie.
Grida e crepitio di colpi avevano pervaso l’aria, ricordava di aver visto scaturire le baionette attraverso nuvole dense di polvere poi improvviso, un colpo tremendo nella schiena e cadendo, vedere il fucile fumante del nemico, relatore del messaggio di morte.
Questa è la guerra, una missiva di morte a un nome, una famiglia e a un indirizzo sconosciuti.
 
Poco più che ventenne, lasciati gli studi letterari si era unito ai garibaldini che si opponevano alle truppe francesi sul Gianicolo per difendere la Repubblica Romana per quanto non lo esaltasse la violenza della guerra.
Adesso gli tornava in mente quando non molto tempo prima in quegli stessi luoghi, aveva riflettuto sui destini sconosciuti di tante persone sensibili e geniali che non avevano mai potuto affidare il loro contributo illuminato all’umanità perché le loro esistenze erano state spezzate prima che le loro doti si fossero sviluppate ed espresse. Quante probabili idee virtuose, opere d’arte o scoperte erano state prematuramente escluse dalla storia. Trafitte da una spada, dilaniate da una granata, impiccate, messe al rogo, imprigionate o fucilate. Quante occasioni sprecate di civiltà e giustizia a dimostrazione del fatto che i delitti puniscono anche chi li commette e persino i loro discendenti, che per questo sono destinati a vivere in un mondo peggiore.
Ma in questa nuova alba, il fumo della battaglia si stava dissolvendo risvegliando gli odori della vita e con essi il ricordo bruciante di un’estate diversa.
Ora dal suo rifugio, nella calma di una tregua, poteva sentire di nuovo gli inebrianti vapori dei fiori del mirto che si avvolgevano come un impalpabile abito nuziale intorno a una graziosa fanciulla dai lunghi capelli rossi di cui era innamorato. Insieme percorrevano spesso i sentieri del Gianicolo, vagheggiando di altri possibili mondi più giusti e liberi e del suo proposito sempre più forte di seguire Garibaldi, mentre lei con timore pensava alle feroci repressioni dei moti rivoluzionari .
Un giorno, mentre erano sdraiati nell’erba fitta, tenendosi strette le mani contemplavano le nuvole evolversi nel cielo ventoso, a un tratto videro un ciuffo di pelo bianco e due piccoli occhi spuntare tra i sassi e i cespugli. Era un gattino, tutto bianco, perso e impaurito che miagolava verso loro.
Lei lo raggiunse e lo sollevò a sé, tenendolo stretto al seno, quindi dopo averlo rassicurato si misero alla ricerca della tana materna. Girando tutto intorno per molti minuti, all’improvviso, non molto lontano trovarono una piccola famiglia di gatti sotto un tronco d’albero ornato dai cespugli di mirto e finalmente una mamma gatta accolse felice il suo piccolo smarrito.
Che si tuffò subito nel suo seno fra i suoi fratelli a succhiare il prezioso latte.
 
Per i due innamorati quella piccola famiglia era diventato un motivo in più per tornare lungo i sentieri del Gianicolo per portare del cibo e giocare con i cuccioli per alcune settimane fin quando un giorno sul finire dell’estate non li videro più, ma l’aver contribuito alla loro crescita e sopravvivenza aveva arricchito entrambi in molti modi, consacrando fra loro un legame profondo più di un matrimonio. Fu lei poi a osservare che i gatti apprezzati da chi aveva conosciuto la loro magica capacità affettiva rappresentavano in modo eccellente l’idea di libertà e indipendenza a cui ambedue aspiravano di una patria senza oppressori e senza tirannie né esterne né interne.
 
Un gatto non domina e non vuole essere dominato, restituisce amore senza essere servo, sta bene con gli altri perché sa stare da solo. Il suo spirito indipendente non è accettato da chi cerca servi e non amici e al pari dei popoli oppressi anche loro, i gatti, perseguitati nelle varie epoche, sono stati emblematici testimoni della libertà negata.
 
I ricordi persistevano, la ferita lo aveva quasi lacerato, anche se ora il sangue non scorreva più, non era in grado di muoversi ma i suoi pensieri ora potevano scorrere ancora più liberi e profondi, superando le ferite e la paura.
 
– I pensieri. Sono come le nuvole, impalpabili e multiformi entità, modellate dal flusso dei venti. La sostanza di cui sono fatte è la stessa, ma le loro forme sono mutevoli si mescolano ad altre, fino a disperdersi e apparentemente sparire immergendosi nell’oceano d’aria o accumulandosi in minacciose e gigantesche masse oscure. Ma a differenza delle nuvole i pensieri possono essere inseguiti, raggiunti e con il vento della ragione si può dar loro le forme più gradevoli e innocue, nella calma ed assolata aria del tempo migliore e impedire loro di formare tempeste. –
 
Quella porzione di mondo che poteva ancora scorgere ruotava intorno a lui come il perno dell’universo e mentre il suo corpo si spegneva sentiva che tutto intorno le piante, l’aria, la terra che lo sorreggeva e persino i sassi, stranamente esprimevano più vita di sempre.
Quel giorno non gli apparteneva più, non avrebbe partecipato a un’altra battaglia né potuto esultare per una improbabile vittoria e mentre il sole ascendeva al suo trono zenitale sentiva che tutto quello che fino a quel punto era stato importante stava dissolvendosi insieme alla nebbia della notte appena trascorsa nel doloroso torpore.
 
Poco oltre il suo giaciglio d’erba c’era il corpo di un giovane nemico con la mano stretta al ramo di un cespuglio, quasi per aggrapparsi alla pianta della vita.
Quale follia perversa aveva forgiato anche il suo destino? Come tante altre generazioni perdute nei campi avversi della storia!
L’ Italia, che sognava unita abitata da genti pacifiche, libere e operose stava diventando irreale e nel delirio si sentiva scivolare sempre più verso una dimensione libera dalle angosce e dai conflitti. Ma chi avrebbe ricordato il suo come quello di altri sacrifici e ad essi cercato di congiungersi valicando lo spazio del tempo? Tutti gli anni futuri regalati a un nuovo mondo forse egoista e ingrato, ai tanti, immemori e distratti, destinati per questo a tornar servi.
La Libertà di certo, non viene mai in dono.
 
Forse avrebbe combattuto ancora se fosse sopravvissuto, ma allo stesso tempo rivedeva con nostalgia i boschi del Gianicolo tra l’erba alta e i fiori, con la fanciulla amata che lo attraeva in sé, come una galassia ingoia i suoi soli e allo scorrere di quel torrente di emozioni che non sarebbe mai arrivato al suo appuntamento con il grande fiume della vita.
 
A un tratto mentre era immerso nella sofferenza atroce dei pensieri che dolevano più della ferita, un tocco lieve percorse la sua fronte e accanto a sé vide un bellissimo gatto bianco che lo guardava intensamente con i suoi occhi di giada come se stesse perforando la sua anima.
Sembrava consapevole delle sue pene e annusando l’aria sembrava dire: “Noi gatti abbiamo colori diversi ma non ha importanza, le nostre lotte dure sono vitalità, i vostri conflitti invece hanno sempre il sapore della morte. Vi sentite tutti dei re, ma in voi regna la disperazione della solitudine poiché avete perso il contatto con l’essenza della vita. Noi abbiamo paura dei pericoli, voi della vita. Noi lottiamo per sopravvivere, voi vorreste vivere in eterno. Noi “viviamo” un territorio senza possederlo, voi lo possedete senza viverlo. E senza farlo vivere agli altri”.
 
Il gatto ora si era adagiato sul suo petto, lo vedeva contemplare l’universo e con lo sguardo indicare certezze. Sollevò la mano per posarla su quel corpo scintillante nel sole e un vivido ricordo affiorò improvviso prepotente nella sua mente.
Ma sì! Era il cucciolo, riportato alla madre da due innamorati felici in un giorno lontano di primavera, la stessa creatura incontrata e persa, ma non dimenticata, nei percorsi di vite diverse. Il gattino smarrito di un tempo aveva ritrovato chi lo aveva soccorso e nutrito e che a sua volta avrebbe scortato lui ora nel breve tratto verso la sua ultima tana.
A un tratto anche la sua angoscia sembrò sparire del tutto nello spazio di quegli occhi in cui si formavano galassie. “Non preoccuparti…niente è stato perso, ” sembrava dire “…quello per cui hai lottato è la Vittoria stessa!”
E il suo corpo bianco riempiva tutto il cielo.
E fu allora, che tra i rami dei cespugli, se fosse vero o un sogno, anche la sua amata apparve e con un grido spezzato si piegò su di lui bagnandogli il volto coi capelli, mentre il fruscio delle sue vesti sulle foglie del mirto si spargeva intorno come le note del canto che rievocava la promessa che il profumo del Mirto a primavera ad ambedue aveva fatto.
 
Lacrime calde e soffici
Scivolarono sulle sue labbra
Mentre il vortice di pensieri
Avvolgeva la coscienza nel sonno.
La sentì accanto.
Le gote umide di pianto
La fanciulla vaga e snella
Conosciuta e amata un anno prima.
E quel che vide infine
Era per lui ben più che una promessa.
Stava lì di fronte, alta nel sole,
Orgogliosa e fiera come un vessillo al vento
Col rosso dei capelli
La verde gonna
E il bianco gatto in seno.
 
Ennio Forina

Il Fuoco in una Goccia d’Acqua

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Quello che l’Amore vero sa donare

è come l’acqua di un limpido fiume

che in una sola direzione scorre.

Non vuole e non può tornare indietro,

perché un fiume non risale mai il suo corso

per restituire l’acqua alla sorgente.

Tuttavia, come le gocce si attraggono

e l’acqua si unisce ad altra acqua

per una misteriosa forza d’attrazione,

si trasforma in sembianze di aeree,

multiformi nubi, di benefica pioggia portatrici.

Il fiume ripercorre così per altra forma e via,

il suo viaggio a ritroso ed è questo il solo modo

in cui ogni sincero e generoso sentimento,

torna alla sorgente stessa da cui è nato

e che senza esitare nel grande fiume,

il suo perfetto Amore ha riversato.

Siamo acqua, gocce di pioggia o di rugiada,

sparse nel calmo cielo come lievi vapori,

o formando immense nubi tumultuose,

particelle di energia vaganti che insieme,

percorrono intero il ciclo della vita

come fa l’acqua, mutando forma,

ma restando sempre uguale.

L’energia d’Amore ha la stessa sostanza

dell’energia del Sole che non è altro che acqua,

accesa da atomi di passione che diventa Amore,

nutrimento dell’Anima, del cuore e della mente,

e come nel Sole accade, al tempo stesso è Vita.

Ennio Romano Forina

Nel Tempo della Segregazione

Chi potrebbe dire quale sia
la differenza fra realtà e illusione?
Ovvero fra sogno e realtà?
Sembra una facile risposta: “Vero”, è tutto ciò
che realmente, fisicamente accade.
Sogno o illusione è ciò che non si concretizza.
Ma è pur vero che tutto quanto veramente
ci accade o facciamo accadere,
prima o poi scompare con le nostre esistenze
in questa dimensione
in modo che nel tempo gradualmente,
la realtà è sempre meno reale
perché proprio è legata allo scorrere del tempo
e fa parte del tempo,
al contrario, il sogno è pura espressione dell’anima
e non subisce questa trasformazione temporale né fisica,
resta intatto, nell’energia che lo ha concepito
e ci segue ovunque, in ogni dimensione in cui siamo.
La realtà è reale al di fuori di noi e prima o popi svanisce,
mentre il sogno è vero in noi e non ci abbandona mai.
Dunque cosa è più vero del vero apparente ?
Una realtà che accade che va affrontata
e che viene trascinata dallo scorrere del tempo
o un sogno che realizziamo in noi stessi
solo per averlo concepito e curato
e fatto diventare il nostro bagaglio?
Io penso che ciò che permane è lo spirito e l’intensità
con cui sappiamo e vogliamo vivere ambedue
sia la realtà che il sogno, è allora che tutti e due
diventano unicamente veri e a noi eternamente avvinti.
 
Ennio Romano Forina – Marzo 2020

La Caduta dell’Impero Umano

Non so quante persone, camminando sui marciapiedi, si soffermino ad osservare il suolo e guardando i fori di ingresso dei nidi di formiche, si siano mai chieste perché attorno ai fori ci sono delle montagnole di sabbia finissima giallastra, che esse accumulano intorno meticolosamente. Ebbene, io penso che la ragione sia evidente, quei cumuli di sabbia chiaramente sminuzzata, servono a tappare l’apertura del nido in caso di pioggia, quando l’acqua cade e sale, la sabbia si amalgama con l’acqua e viene trascinata sull’apertura, formando un tappo che può essere ulteriormente consolidato anche dall’interno, in modo tale che il nido resta impermeabile.
Sono formiche, sappiamo che le formiche sono particolarmente intelligenti, ma è la VITA che è intelligente e che ce lo dice e mostra le soluzioni più efficaci e ingegnose che ogni specie attua ma che noi diamo per scontato, come diamo per scontata l’aria che respiriamo e la luce del sole.
Ora, qualcuno mi chiederà, cosa c’entrano i nidi di formiche e le loro soluzioni nell’essere incazzati per un’epidemia?
C’entrano eccome, perché le formiche sono COSCIENTI che la pioggia è un evento ritmico, che prima o poi si riverserà sulle loro costruzioni sotterrane e in previsione di questo, miracolo! SI PREPARANO!
Ma noi, con la nostra superiore intelligenza, pur sapendo e avendo la possibilità di riferirci alle cronache di passate e recenti epidemie, sventate o limitate per puro culo non abbiamo, a differenza delle formiche imparato nulla, altrimenti non mancherebbero le mascherine, i disinfettanti, i respiratori, le sale di rianimazione, i medici, gli infermieri, le ambulanze attrezzate, la coerenza nel dare informazioni giuste e non farraginose, come quelle date dall’insorgere dell’infezione e in ultimo non mancherebbero le strategie, i piani di attuazione già pronti. Le formiche sono meglio dei cinesi, e ovviamente più intelligenti di noi, europei supponenti pieni di boria, avvezzi a riposare sugli allori, popoli che non credono in niente e credono in tutto, secondo le convenienze. Avevo avvertito amiche e amici fin dalle primissime notizie cinesi, che questa era una cosa seria, attesa, prevista da anni, e quindi di procurarsi delle provviste il prima possibile, per la loro sicurezza ma anche per diradare gli approvvigionamenti, che si sarebbero poi scatenati come una stampede di cavalli imbizzarriti, ma non mi hanno preso sul serio, preferivano pensare a complotti oscuri o a scienziati malefici, che progettavano come sterminare l’umanità in laboratori segreti. Certo accade anche quello, la scienza è sempre stata al servizio della malvagità, pensare che Scienza sia sinonimo di Bene è un’illusione, il progresso scientifico tecnologico è stato enormemente velocizzato nell’ambito dei più grandi conflitti e imperialismi. Io amo i cani, ma i cani hanno un difetto: l’ingenuità, si lasciano smarrire nelle perversioni umane diventando complici a volte dei loro delitti, ma non è colpa loro, sono anime gregarie innocenti e sono facilmente plasmabili dalla malevole arte umana di addomesticare con l’inganno, oltre che con la brutalità. Non così i gatti, i gatti non amano per quello che gli date, ma per quello che siete o non vi amano affatto. Ma gli scienziati non hanno scuse, non sono ingenui, perché sono consapevoli di quello che fanno. I missili non li costruiscono certo, gli agricoltori. Ho scritto ad una mia nuova amica che questa epidemia è reale grave, ma sin dall’inizio è stata gestita da quasi tutti e da quelli che hanno le responsabilità maggiori, come una farsa – tragica – dai toni politici da parte di TUTTI, con le oscillazioni e i tentennamenti, corredate dalla scusa di non procurare allarme, con le diverse avventate opinioni tediose e senza spessore espresse su un aggressore del tutto sconosciuto, mentre la realtà era la mancanza di coraggio delle parti, per il timore di perdere credibilità e consensi si è esitato troppo e questo è risultato evidente a molti, senza capire che l’allarme peggiore, anzi il vero panico lo causano l’incertezza e la confusione, non la cruda verità.
Inoltre, si continuano a ignorare o a tener nascoste dietro le quinte dell’ipocrisia e dell’indifferenza, le reali cause che hanno permesso al virus di trasferirsi e adattarsi comodamente all’animale uomo. Virologi e scienziati continuano semplicisticamente a riferirsi a uno o più animali sorvolando il vero soggetto e autore dell’infezione: le condizioni e gli abusi che imponiamo al mondo vivente. Le imputazioni sono globali, le epidemie sono ineluttabili, poiché gli equilibri sono stati devastati e gli addensamenti mostruosi di animali umani e animali altri, sono intollerabili per il sistema VITA.
E la soluzione di certo non è quella di disinfettare tutto il globo, causando altri immani disastri. Quando finirà questo evento, i sopravvissuti colpiti nelle loro famiglie, penseranno a piangere i cari persi, gli altri, i più fortunati, andranno di nuovo a riempire le piazze agitando le braccia al cielo, a ringraziare improbabili santi ascoltando stupidi frastuoni di suoni ed effetti di luce laser, ignorando l’inferno degli animali, penseranno solo a godersi lo scampato pericolo, torneranno cantare canzoncine di gioia e a far esplodere fuochi d’artificio, i governi a fare parate militari con potentissimi missili ridicolmente inutili contro i virus, a giocare con gli intrattenimenti, consumare le stesse cose superflue che danneggiano l’ambiente, a spianare foreste a soffocare il mare e la vita, che dal mare dipende, con milioni di litri di detersivi e di tonnellate di plastica inutile che continuerà ad essere prodotta, in attesa della prossima catastrofe equilibratrice che potrebbe essere l’ultima, forse e non forse. E devo continuare a gridarlo forte : non sono gli ANIMALI il soggetto, ma le CONDIZIONI in cui gli animali sono fatti crescere detenuti in lager che di allevamento non hanno nemmeno il nome, in numeri mostruosi e mischiati tutti insieme, trasportati, torturati, mangiati anche vivi, scuoiati e fatti bollire vivi, anche negli stessi mercati, che si aggiungono alle infezioni che possono scaturire da qualsiasi allevamento intensivo, in qualsiasi parte del mondo o negli stessi insediamenti umani fatiscenti e affollati.
I virus esistono, servono anche loro, noi siamo vivi e possiamo fare e dire idiozie, grazie anche ai virtus e ai batteri che convivono in noi e al di fuori di noi, e a tutti gli agenti che rendono il mondo fertile e vivibile per gli organismi, ma l’esagerazione è sempre tossica, l’acqua è indispensabile ma non possiamo ubriacarci di acqua, qualsiasi sostanza VITALE presa in eccesso può uccidere, il modo in cui consideriamo e trattiamo gli animali è altamente TOSSICO oltre che infame e ingiusto, degno di un giudizio e di una punizione universale, poiché siamo tutti colpevoli nelle scelte, nell’azione e nell’indifferenza. Io non mi chiudo nella prospettiva di scampare il pericolo personalmente senza lanciare il mio grido di sdegno con tutto il risentimento che avvelena i mie giorni e i miei sogni. Se non lo facessi, salverei forse il mio corpo, ma non la mia anima, e quella è la cosa peggiore di tutte.

Ennio Romano Forina Gennaio – Marzo 2020 –
L’Anno della caduta dell’Impero Umano – Parte I segue….INKAZZ.jpg

Una Diversa Evoluzione

Inizio da qui un lungo viaggio a tappe nei sentieri della mente e della riflessione profonda, come un investigatore che percorre le scene di molti delitti compiuti dalla presunzione umana che da sempre ha tentato di nascondere la sue responsabilità per i danni compiuti con i pretesti più assurdi e falsi di molte  religioni.

Mi scuso in anticipo con chi mi segue, per i testi che pubblicherò, concepiti come semplici note di viaggio, poco curate, anche a causa dei terribili tempi che stiamo attraversando.

Appunto, “Note di un viaggiatore della mente”, che per anni ha dedicato tutto il tempo possibile raccogliendo indizi ovunque, per conquistare non la Verità assoluta ma elementi, parti di verità da utilizzare come punti di riferimento nel lungo infinito cammino della conoscenza dell’origine di tutto quanto è e vive . Fuori dei pretestuosi schemi e architetture fittizie di tante religioni, filosofie e stadi di conoscenze scientifiche stabilite come assolute, a volte con caratteristiche di veri e propri dogmi o quantomeno assiomi accettati senza poter essere verificati ma convenienti spesso a confortare la mente umana nei suoi limiti.

Ennio Romano Forina 

 

PIRAMIDI E ALTRE MERAVIGLIE

Sì, la storia della civilizzazione del genere umano è costellata da opere straordinarie e mirabili, che richiedevano l’impiego di intelligenti soluzioni, ma il cui scopo e ragioni erano decisamente stupide.

Molta intelligenza impiegata e sprecata per idee senza senso o addirittura perverse e malefiche.

Farò alcuni esempi- Tutti lodano le piramidi cercando di trovare in quelle forme geometriche così perfette e nelle dimensioni, nella capacità di essere stati in grado di costruire simili edifici, l’esempio dell’intelligenza umana nelle più antiche civiltà. Egiziani, Assiro Babilonesi, e numerosi altri esempi riscontrabili in popoli diversi collocati su continenti diversi, hanno suscitato la fantasia e le congetture più bizzarre o più affascinanti, come il possibile intervento di esseri alieni che avrebbero, visitando il pianeta in un tempo lontano, influito sui preistorici umani consegnando loro le chiavi di una intelligenza superiore e la capacità di sfruttare meglio i loro cervelli.

Un esempio emblematico di queste attitudini di pensiero lo abbiamo trovato nel film 2001 Odissea nello spazio, così tanto lodato e che personalmente ho trovato assolutamente mediocre e persino mistificante.

L’idea che la specie umana abbia sviluppato un tipo di intelligenza “superiore” per l’intervento di un monolito alieno che avrebbe acceso la scintilla di altre intelligenze cosmiche già evolute, non è soltanto ridicola ma nemmeno originale.Derivata da concezioni bibliche analoghe a quelle di tutte le religioni.

Niente altro che la replica in chiave moderna tecnologica del fuoco divino che ha plasmato l’uomo  privilegiandolo di una intelligenza superiore, per chissà quali meriti e quali fini. Perché mai poi solo l’umanoide erectus simile in tutto agli altri animali, avrebbe meritato di acquisire un ruolo speciale nell’ambito del mondo vivente? Perché non tutti allora? È semplice, il film non fa altro che riportare la concezione mitica biblica della predilezione del creatore per la sua opera ultima che tra l’altro, si è dimostrata la meno riuscita e la più distruttiva se volessimo fare una constatazione di fatto ,specie alla luce degli avvenimenti di tutti i millenni, di tutti i secoli, fino all’attuale era.

Io penso che la spiegazione della indubbia bellezza delle piramidi non sia da cercare nell’intelligenza degli architetti umani del tempo, ma nel seguire le condizioni fisiche che la natura dettava e detta e mi spiego: l’ambizioso progetto di costruire una tomba per uno singolo, stupido soggetto, venerato come un dio ma che non era capace di costruirsela da solo, alla ricerca di una impossibile immortalità organica, era dettata da considerazioni di fatto, solo in questo la scintilla del genio si era accesa nella mente degli architetti, la consapevolezza che se si volevano costruire edifici tanto grandi e pesanti questi non potevano che avere QUELLA forma. Non avrebbero mai potuto costruire un cubo di pietra di quelle dimensioni nemmeno sacrificando il triplo di esistenze di animali e schiavi e sarebbe difficile persino oggi, nonostante tutte le energie meccaniche e materiali nuovi di cui disponiamo. Quindi qual’è la logica conclusione di questa mia riflessione se non il fatto che la ragione stupida della costruzione di una tomba immensa, che non serviva assolutamente a nulla è che le piramidi non sono state costruite dall’intelligenza umana, ma che l’intelligenza umana non ha fatto altro che rendersi conto delle possibilità che “l’intelligenza cosmica” concedeva per realizzare simili costruzioni, in pratica, non gli umani, ma la Natura stessa ha progettato quella forma così come progetta e realizza un infinito numero di opere e gli architetti non hanno fatto altro che seguire le indicazioni e i limiti del progetto scritte nelle leggi della fisica naturale.

Nulla di diverso di quanto fanno anche altre specie viventi, Api, Termiti, Formiche, Castori, tutte le piante che progettano una infinità di soluzioni assecondando le indicazioni che provengono dalle armonie cosmiche che loro sanno decifrare e usare in molti casi molto più di noi. Porterò ulteriori evidenze di quanto affermo tese a sostenere la mia idea che l’intelligenza umana non ha nulla di particolare e di eccezionale ma che ha avuto fortuitamente delle possibilità di esprimersi diversamente, una diversa evoluzione ma non per merito ma per condizione.

Questo concetto e molti altri esempi della dicotomia fra intelligenza motivata dalla stupidità, e quella originale creativa, dovrebbe farci riconsiderare tutta l’ammirazione che poniamo per moltissime altre realizzazioni e  opere umane, a meno che non si voglia attribuire alle piramidi la stessa ammirazione e meraviglia che poniamo ammirando i cristalli o la magnificenza delle montagne. Partirò da qui per un viaggio nell’evoluzione umana rivista in un modo credo del tutto nuovo, stanco come sono di sentire gli stessi stereotipi ereditati, inculcati che fanno parte del debole pensiero comune, anche di quello di un mondo scientifico ancorato ai risultati fin qui raggiunti come fossero dogmi di una religione ottusa che cerca e costruisce risposte artefatte comprensibili e facili per convalidare la presunta superiorità del genio umano che ha portato a compiere così tanti progressi e altrettanti delitti, verso il mondo vivente e verso sé stesso.

Ennio Romano Forina