Andrea era seduto sul bordo di quel relitto di barca lasciato di fronte al mare inclinato e con una parte della fiancata sfondata mezza riempita di sabbia e altre scorie portate dalla marea. La spiaggia era deserta, troppo freddo ancora, tanto più che l’epidemia e le disposizioni di contenimento avrebbero comunque impedito gli afflussi di persone, nemmeno per prendere il sole, ma Andrea era riuscito a uscire di casa con la sua brava mascherina e con i pattini e a raggiungere rapidamente la sabbia dove nessuno poteva notarlo. Un paio di settimane prima aveva fatto un brutta caduta fratturandosi un polso ma riusciva lo stesso a pattinare abilmente ma non come prima e adesso era costretto a stare ancora più inattivo per via del braccio ingessato che teneva appeso e stretto da una fascia al collo.
Ma non era la frattura del polso che pesava sul cuore di Andrea, era la ferita aperta nel suo cuore, poiché un anno prima la tragedia aveva colpito la sua famiglia inaspettatamente, come spesso accade alla maggior parte di persone, eventi drammatici e ineluttabili possono accadere improvvisamente spazzando via la luce e l’allegria in un attimo, allora si comprende la vulnerabilità dell’essere ma allora è anche il momento di trovare le formidabili risorse latenti dell’essere. La morte stupisce, perché non se ne comprende il senso, perché arriva quando non dovrebbe e si vorrebbe che non arrivasse mai, specialmente quando è troppo presto. Ma come può un ragazzo di 15 anni affrontare la realtà dura della morte perdendo il genitore che dovrebbe insegnargli a metabolizzarla a non averne paura?
A non considerarla la fine di tutto o come una punizione ingiusta? Normalmente tutti i giovani non si rendono conto della morte, a 20 anni sentono il bisogno di provare e testare il loro coraggio, le loro capacità fisiche, affrontando prove e sfide insieme ai propri compagni. L’ho fatto anch’io, come tutti, arrampicandomi sulle rocce, passando sotto le gallerie dei treni, salendo sugli alberi, facendo discese vertiginose in bicicletta, nuotando nelle pericolose acque di un lago, che ogni tanto inghiottiva qualche incauta giovane vita che contava troppo sul suo fisico e per un semplice malore annegava.
La volontà di provare il proprio coraggio e la prestanza e quindi, di pavoneggiarsi di fronte alle ragazze è sempre stata abilmente sfruttata dagli scaltri tiranni di tutti i tempi, che rapinavano la vita dei giovani con la lusinga di gloria e patacche luccicanti su divise di smaglianti colori e inutili bottoni dorati in cambio di farsi scannare sui campi di battaglia per niente. E la maggior parte si faceva convincere sempre. Se non morivano perdevano braccia, gambe, mani occhi e diventavano relitti, proprio come la barca su cui Andrea ora stava sospeso come sospeso in un limbo, cercando inconsciamente risposte che nessuno in ciò che restava della famiglia era riuscito a dare, nemmeno i suoi amici, dal magico schermo dello smart phone non venivano risposte né dagli amici virtuali né tantomeno dagli smart programmi che hanno la pretesa di sapere e anticipare quello che pensiamo. Nessuno era riuscito a lenire in lui il dolore acuto di quella perdita. Perché? Quale punizione si era meritata la sua famiglia fino allora tranquilla nella normalità come quella di tante famiglie? Perché suo padre gli era stato tolto?
Aveva provato a esprimere quel dolore all’esterno, a liberare la sua mente dall’oscurità che era scesa di colpo in lui e non lo abbandonava da un anno.
Aveva provato ad esternarlo, agli amici e in famiglia, ma non aveva ottenuto risposte soddisfacenti e alla fine e l’angoscia di non trovare ragioni e giustificazioni a quella ingiusta perdita, il dolore era rimbalzato indietro avvolgendolo e imprigionandolo in una cappa di grigiore e desolazione che impediva di tornare ad essere il ragazzo pieno di energia e sogni di prima, ed era proprio questo il punto cruciale della sua impotenza nel liberarsi da quel tormento accettandolo, perché nella sua mente giovane e ferita, l’accettazione della morte del suo amato padre con il quale aveva anche a volte fatto un po’ troppo il ribelle, voleva quasi dire che lui ne era in parte responsabile, in un tortuoso vortice di pensieri che si ripiegavano su sé stessi inconsciamente.
Se ne avesse compreso il senso, l’avrebbe accettata mentre rifiutandola la frustrazione derivante assumeva i contorni di incerti e confusi di una colpa che non poteva attribuire ad altri se non al destino ma non potendo prendersela né con gli altri né col destino, Andrea aveva cominciato a prendersela con sé stesso.
Ora il suo sguardo si posava sulle piccole ferite che aveva inflitto al suo braccio, forse sperando che la sofferenza che aveva nella sua anima e nella sua mente offuscata dal dolore, potessero uscire al di fuori di lui attraverso quei tagli e disperdersi fino a svanire, ma in realtà lui stava chiedendo aiuto, chiedendo che qualcuno potesse guidarlo fuori da quel labirinto di dolore prendendolo per mano.
Io, lo scrittore, sono come un detective, raccolgo indizi per conoscere le ragioni di un delitto o delle offese, penso che Andrea non potesse essere consapevole di questa indagine che lui da solo non poteva fare, ma la sua anima lo richiedeva gridando, per quello se ne stava lì accasciato nell’aria umida salmastra che si colorava della luce del tramonto, fissando le onde mentre il disco solare si apprestava a riposare coprendosi con le coltri di rosse onde lontane all’orizzonte.
A un tratto, un uomo si avvicinò a lui, aveva notato questa presenza da lontano, un uomo con una specie di rastrello in mano e un sacco, con il rastrello smuoveva la sabbia e ogni tanto raccoglieva qualcosa e la inseriva nel sacco, un uomo dalla pelle segnata dal sole, né giovane, né vecchio, né alto né basso, che ora si fermò davanti a lui guardandolo come se stesse rimproverandolo con occhi del colore di giada.
L’uomo sorrise appena ad Andrea e poi fece una smorfia di disappunto vedendo le ferite sul suo braccio. Poi scuotendo il capo lentamente disse: “ No, no, questo non serve, non devi farlo non ti aiuterà”. Andrea restò colpito dalle sue parole e dal tono calmo soffice della voce, che lo avevano appena scosso dal suo torpore sensoriale, costringendolo a guardare il volto dell’uomo che continuava a guardare le ferite passando da queste agli occhi, mentre si sedeva accanto ad Andrea appoggiando il rastrello e il sacchetto sul bordo della barca.
Quindi con tono rassicurante: “Aspetta, disse so io cosa ti serve, metti via il cell e ascoltami bene, ora ti faccio vedere due cose:” così dicendo mise una mano dentro il sacco e raccolse una grossa conchiglia vuota e lucida e un sasso perfettamente levigato dal movimento delle correnti marine dal fiume che lo aveva portato lì. E Andrea a lui: “Ma tu chi sei? cosa fai con quel rastrello?” “Io sono un pulitore, lo vedi, elimino le scorie i rifiuti che inquinano la spiaggia, vado su tutte le spiagge e impedisco che queste scorie soffochino la vita nel mare e il mare stesso, è il mio compito, ma a volte mi capita di ripulire la mente delle persone dalle scorie che soffocano i loro pensieri come questi rifiuti uccidono la vita nel mare”.
“È un compito che ho dovuto assumere, quando serve, e qualcuno mi chiama intervengo, solo che non uso il rastrello”. Detto questo prese il sasso nella mano porgendolo ad Andrea che sconcertato da quelle parole lo guardò con curiosità ma senza scomporsi molto, non capiva che importanza potesse avere quel sasso.
L’uomo fece richiudere la mano di Andrea sul sasso e con parole molto serie come quelle che aveva spesso udite da suo padre per esortarlo a stare attento ai pericoli, a non correre rischi, l’uomo strinse la sua mano intorno a quella di Andrea sul sasso e iniziò a parlargli: “Ascolta ragazzo, ora devi fare come ti dico io, la tua mente è piena di paura e sei smarrito, ma tu non puoi sapere, perché hai paura, perché temi quello che non sai, che non conosci, che esiste solo in te, sono i rifiuti di pensieri sbagliati, che inquinano e impediscono a quelli giusti di farsi strada in te, ora ti dico che per qualche minuto devi abbandonare la tua mente e sentire quello che il sasso vuole dirti. Concentrati sul sasso e non pensare ad altro, non pensare a nulla. La tua realtà adesso è solo quel piccolo, ma immenso universo che è dentro la materia del sasso. Andrea provò a slegare il flusso dei suoi pensieri seguendo l’invito e a immergersi nella sensazione che quel sasso iniziava a dare alle percezioni della sua mano, mentre l’uomo piano sussurrava. “A poco a poco sentirai che quel sasso non è solo una pietra, ma pura energia condensata e se la tua mano riuscirà a percepire quella energia, la stessa entrerà in te purificandola come il rastrello scava nella sabbia e la libera dai rifiuti. Non devi pensare all’energia, devi solo aprirti ad essa, lasciarla entrare in te, così la tua mente sarà in grado di liberarsi delle sue ombre e scaricandole sul sasso che a sua volta le eliminerà. Il sasso raccoglierà le tue ombre come il mio sacco raccoglie i rifiuti.
Restarono così per molti minuti sospesi, mentre la mano di Andrea si stringeva sempre più forte al sasso come se fosse un appiglio sicuro scalando una montagna o una provvidenziale fune gettata a un naufrago in balia delle onde. Andrea iniziava a sentire qualcosa avvenire in lui, una sensazione di chiarezza come quando viaggiando, si diradano i vapori densi di una nebbia, e la strada appare. Stava sentendosi bene, quel lasso di tempo di poche decine di minuti aveva spezzato il vortice del cattivo incantesimo che lui stesso aveva fatto.
Sì, qualcosa stava cambiando in lui. L’uomo allora gli disse di rilasciare il sasso lo prese e lanciandolo tra le onde disse : “Ecco! Quel sasso si è portato via tutti tuoi fantasmi e il mare li disperderà, è stato modellato dall’immensa energia del mare. Detto ciò l’uomo prese in mano la conchiglia vuota: “Vedi, un tempo qui dentro c’era un essere vivente, ora è vuota, ma la vita che era dentro non è morta, si è solo spostata è ritornata alla sua origine, è stata accolta nel grembo e nella culla della vita da cui è partita. Nessuno di noi se ne va per sempre, si cambia soltanto dimensione, ma si rimane avvinti nell’energia di amore che non cambia mai. Tuo padre ti ama, ma dove si trova ora non può’ parlarti con le stesse parole di prima, così deve essere altrimenti tu non saresti nemmeno nato, non ci sarebbe nessuna vita senza il divenire e la trasformazione da uno stato all’altro ma l’amore resta sempre stanne sicuro, e se tu ami tuo padre lascialo stare dove sta, fallo stare tranquillo, se ti fai male lui soffrirà davvero, lui vuole che tu sia forte e proceda nel sentiero futuro che ti appartiene e quindi che tu sia tranquillo. Lui già ti sta parlando come prima, ma in altri modi, sei tu che non lo ascolti.
Quindi, ora lascia stare la tua mente che serve ad altre cose, non pensare a tuo padre con la mente, apri lo sguardo e le orecchie dell’anima e del cuore e sentirai la sua voce, te l’assicuro, io l’ho so.
Andrea era scosso ma sentiva come se un macigno che pesava sul suo capo fosse stato tolto, ora per quanto l’oscurità stesse avanzando rapidamente tra i colori del blu profondo indaco e arancio del sole che si accomiatava dietro l’orizzonte e un vento teso lo spruzzava di schiuma salmastra, vide le onde che danzavano allegre davanti a lui e alzando gli occhi il cielo che si accendeva di ridenti timide stelle. Mentre contemplava queste cose non si accorse nemmeno che l’uomo non era più accanto a lui, sembrava improvvisamente sparito, si volse di scatto indietro e vide un lampo di ali colpite da un fascio di luce solare, sembrava un gabbiano che si levava in volo svanendo nel nulla, ma in quel turbine di vento bianco una piuma roteando intorno si posò sulla sua mano ancora aperta, la guardò stupito mentre nel cuore sentiva una voce senza suono.
Ennio Romano Forina Marzo 2020