Colpire un bersaglio inanimato ma che rappresenta un vero animale potrebbe essere da molti praticanti di questa disciplina una premessa nell’uso della stessa arma contro animali veri.
E infatti, i social sono pieni di documenti filmati o fotografici, di uccelli e altri animali trafitti da frecce vaganti. Uccisioni collaterali accidentali o atti voluti? Direi ambedue.
Le armi fatte per uccidere prima o poi uccidono.
Non credo che la maggior parte di coloro i quali hanno il culto dell’abilità di colpire un bersaglio, sia così consapevole della differenza che passa tra una raffigurazione e un animale vero.
Può darsi che nei centri sportivi di pratiche venatorie antiche tutti siano estremamente rispettosi del diritto di vivere altrui, ma le armi che offendono non possono essere concettualmente considerate un’innocente “arte” sportiva.
Di sicuro, in assenza di vere leggi efficaci, molti praticanti sono spinti ad usarle per provare la loro onnipotenza. Sport venatori? Perché simulare una cosa che se i nostri progenitori hanno dovuto fare per la sopravvivenza in condizioni estreme, ora non avrebbe e non ha nessun senso?
Come del resto, molte altre cose crudeli e ingiuste che facciamo senza davvero conoscerne le ragioni profonde, attribuendo ad esse dei significati virtuosi fittizi.
E semmai si possa ammettere l’esistenza e la capacità di uso di armi concepite per “difendere” il diritto di esistere di ciascuno di noi, di sicuro l’arco e le frecce sono nella loro concezione esclusivamente armi offensive.
Quindi, perché nobilitare l’uso di armi che colpiscono da lontano e a tradimento, se non per allenare e ammettere una forma concettualmente vile di sussistenza, quando anche di vera sopravvivenza si tratti?.
È una semplice considerazione analitica della soddisfazione che si può ricevere dal colpire un bersaglio lontano, sia che rappresenti una vita o il surrogato di una vita.
Non credo che chi sia attratto dall’acquisire queste abilità si ponga questi quesiti. Più spesso la più apparentemente innocente delle simulazioni può diventare realtà.
Ennio Romano Forina