NOTE DI UN VIAGGIATORE DELLA MENTE
Sabato 30 Luglio 2011 18:10
di Ennio Forina
A volte non sarebbe male riflettere meglio sul reale significato espresso dai simboli che spensieratamente, per imitazione o per moda vengono recepiti e usati. Si scoprirebbero delle verità non molto gradevoli e forse si sceglierebbero altre strade per esprimere noi stessi o i nostri sentimenti.
Ogni tanto a Ponte Milvio mi soffermo ad osservare i gabbiani e gli altri uccelli nelle loro libere evoluzioni e in questi ultimi tempi non ho potuto ignorare gli ammassi di lucchetti, avvinghiati ai lampioni prima ed ora accatastati sui tralicci come dei parassiti metallici, alcuni decomposti dalla ruggine e nella sporcizia, altri più nuovi e ancora per poco, luccicanti. Lo spettacolo francamente non mi sembra esteticamente apprezzabile né evocativo di alcun tipo di sentimenti profondi e sinceri .
Direi che un lucchetto sia un simbolo piuttosto infelice per stigmatizzare una dedizione profonda e duratura per la persona amata. Piuttosto un emblematico epitoma di strumento di tortura applicato a sventurati protagonisti di intrecci amorosi che sono stati segnati da questo tipo di punizione. Una morbosa simbologia, una manetta d’acciaio per il cuore e per la vita infilati ambedue nella sua ansa, senza più la speranza di riuscirne fuori. E ancora meno se si pensa a tanti drammatici episodi di cronaca nera che riferiscono di giovani uomini che non sopportando un sempre possibile e legittimo diritto di separazione finiscono con l’uccidere la persona che dicono di amare.
Non essendo abbastanza saggi e consapevoli del fatto che in natura nulla è per sempre e nulla è in assoluto e che comunque ogni individuo è libero di cambiare idea e percorso di vita. Il problema però non deriva dal desiderio più che nobile e accettabile di sentirsi uniti per la vita, quanto piuttosto per l’ imposizione di un simbolo che ha la pretesa di chiudere per sempre le porte della ragione e dei sentimenti dal momento in cui viene bloccato e la chiave gettata via.
Chi può essere così sicuro e presuntuoso da poter definire tanto rigidamente il proprio e l’altrui futuro? Più che rappresentare il desiderio e l’aspirazione di un rapporto profondo e durevole è il suggello di una pietra tombale all’unione di due esseri perché, se nel fondo dell’anima si crede e si desidera veramente di essere uniti, allora non c’è bisogno di chiudere nessuna porta né di stabilire nessun confine, né di gettar via per sempre la chiave della libertà esistenziale su un sentiero senza ritorno e che quindi non ha neanche un futuro possibile o una meta che valga la pena di raggiungere, il che di per sé rappresenta un delitto contro i principi fondamentali della vita.
Sarebbe troppo facile, anche perché le esistenze non si comprano come si può comprare una casa o una automobile o un territorio e nemmeno a queste cose se il mondo fosse diverso, sarebbe necessario mettere un lucchetto. Questi oggetti, piuttosto che simboleggiare la fiducia e l’estrema dedizione sono al contrario un simbolo di estrema sfiducia, come tutte le serrature, i fili spinati, le mura dai bordi orlati di vetro, i cancelli, le porte blindate, le casseforti ed altro ancora. Penso che se in un lontanissimo futuro una specie veramente evoluta reperisse fra le macerie della nostra attuale civiltà i resti di questi lucchetti tra le rovine e nei sedimenti del tempo, essi descriverebbero inequivocabilmente insieme ad altre reliquie ancora peggiori, la barbarie del nostro tempo.
Ricordo una coppia di merli una fine estate di anni fa che avevano nidificato sul ramo di un pino proprio di fronte la finestra del salone e la mia compagna ed io dopo essere riusciti a rassicurarli avemmo il privilegio di assistere a tutto il processo della cova e della crescita dei pulcini. La dedizione dei due uccelli alla loro piccola famiglia era assoluta e instancabile.
Durante un temporale e una grandinata violenta osservammo con commozione la madre coprire con il proprio corpo e le ali avvolte a cuneo attorno ai piccoli sfidare la tempesta sotto i colpi della grandine. Con il capo e il becco rivolto verso il cielo formava un cono perfetto, mentre il maschio restava accanto a lei, nella furia della grandinata un pò più in alto, senza spostarsi al riparo, a continuare la sua sorveglianza.
E in seguito vedemmo, nel giorno dell’abbandono del nido, il maschio volare rasoterra all’impazzata sbattendo le ali ed emettendo suoni acuti sfidare un grosso cane e dei passanti, rischiando la sua vita per far sgombra l’area del probabile atterraggio dei piccoli.
Un tale esempio di vero amore e dedizione nella sua essenza rivela di possedere già in sé la forza della certezza senza aver bisogno di nessun simbolo o contratto scritto e non sarebbe certo più garantito da un cappio di ottone né salvaguardato da nessuno dei molti altri simboli che riguardano i costumi e le pretese della specie animale più possessiva del mondo vivente. Quella umana .