Cold Case della Politica/ Parte 1a

Un mio articolo di alcuni anni fa, che riflette credo, per molti versi, le realtà politiche di questi ultimi anni.

C’era una volta un giovane avvocato in una piccola cittadina francese il cui nome era Massimiliano Robespierre, che aveva deciso di difendere un popolo vessato, trascurato e affamato dall’oppressione dell’aristocrazia e del clero e quindi di intraprendere l’esaltante e drammatica strada di un grande evento storico con il sogno di poter contribuire all’affermazione di innovativi principi etici di giustizia, libertà ed eguaglianza dovuti non per casta o dinastia, ma per il semplice fatto di esistere. I successori della sua breve ma significativa esperienza, fecero in modo, in seguito, di definire la sua azione politica con una brutale, sommaria e dispotica semplificazione negativa in tal modo consegnando la sua figura all’oblio della storia per più di due secoli.
Quindi, anche il giudizio storico superficiale e di comodo impresso nei programmi scolastici non è stato benevolo nei confronti di questo indiscusso protagonista principale che, fra altri profondi pensatori, aveva con più coraggio e abnegazione tentato concretamente di infondere al processo rivoluzionario obiettivi più elevati e che al culmine della sua influenza politica, invece di farsi nominare tiranno o imperatore, decise di suicidarsi politicamente e fisicamente, travolto dalla degenerazione degli eventi e dai complotti della restaurazione, ma sopratutto dall’evidenza della inutilità di proporre principi etici che nessuno avrebbe mai voluto seguire e tradito da quello stesso popolo che aveva con così tanta convinzione e ingenuità amato e cercato di difendere. Certo i principi etici devono prima essere definiti e non si possono imporre come le leggi, ma nel seno di una società civile che vuole davvero evolversi essi devono essere riconosciuti, allevati e custoditi non richiamandosi ad improbabili emanazioni divine o codici precostituiti irrefutabili, ma in base ad analisi convincenti ed evidenze tali da costituire le pietre miliari di un cammino verso una società umana civile davvero etica e giusta e sempre perfettibile. E l’uomo, che persino dai suoi nemici veniva riconosciuto come “incorruttibile” e che nei suoi primi interventi alla Convenzione, aveva proposto invano di abolire la pena di morte, venne poi accusato di essere il maggior responsabile di un sanguinoso periodo di cospirazioni e vendette private, prodotte da quei famosi e sciagurati Comitati di Salute Pubblica, tribunali posticci di improvvisata natura, che gestivano quella che si poteva definire una sagra delle vendette e delle intolleranze personali, denominata “Terrore” che finì col travolgere anche moltissime persone illustri e incolpevoli.Certo, al giorno d’oggi non ci sono più i Comitati di Salute Pubblica ma quelli di Salute Privata sì, e le teste anche se in senso metaforico, cadono lo stesso, perché si attua una selezione trasversale così radicale e diffusa in tutti i settori più remunerativi e importanti, mentre si costringono appena a sopravvivere i soggetti che hanno migliori qualità e inventiva. Sono ben rari gli accessi alle industrie e alla politica consentiti a quelli che davvero lo meritano, mentre per inserirsi in qualsiasi segmento di attività bisogna far parte o essere accolti nelle famiglie corporative per mezzo di adeguate introduzioni. E se si vuole iniziare una attività nuova le difficoltà burocratiche e finanziarie sono tali da scoraggiare qualunque impeto creativo.
Più che dei giudizi degli eventi basati sulle cronache e sul lavoro degli storici, preferisco di solito attenermi all’espressione originale del pensiero e delle ragioni che modellano e costruiscono le azioni umane. È possibile, dalla lettura dei concetti originali di una mente, essere in grado di distinguere meglio tra la retorica e la passione, tra la demagogia e la generosità d’animo, tra la sincerità e l’ipocrisia.Ma questo articolo non riguarda un personaggio storico né gli eventi nei quali si è svolta la sua vicenda, per quanto importante questa possa essere stata. Riguarda bensì la natura umana in genere e i conflitti che conseguono dall’incapacità di dialogare anche nell’ambito di questo presente storico.
Infatti, se si considera il clima attuale sembra che le varie aggregazioni politiche parlino lingue diversissime e siano anche mancanti di interpreti; sembra, ma non è così, in realtà esse parlano la stessa lingua e vogliono e fanno o non fanno le stesse cose, solo che appartengono a condomini diversi, squadre diverse, campanili diversi, regioni diverse, nazioni diverse. Credere che il disagio sociale attuale sia attribuibile ad un sistema ideologico o ad un governo piuttosto che un altro è una ingenuità o se lo è lo è in minima parte, e non fa altro che contribuire a riprodurre il terreno di coltura delle caratteristiche negative di una società civile. Credere che basti sostituire una squadra dirigente è ancor più una pura demagogia se prima la squadra che si candida al suo posto non dimostra chiaramente intenzioni e progetti e si prende la responsabilità di fronte al popolo di metterli realmente in atto. Il problema è biologico prima che antropologico perché nella natura umana è insito l’impulso a cercare aggregazioni circoscritte e”corporative”, anzitutto per essere più forti, per la sopravvivenza, poi spesso purtroppo, sconfinando nella sopraffazione di altre aggregazioni più deboli. Nessun sistema ideologico o politico ne è esente, ma è più evidente in quei sistemi che non hanno meccanismi di direzione etica e autoregolazione “sani”, sistemi nei quali invece queste tendenze primordiali si generano, si sviluppano incontrollate e diventano egemoni.
Le varie corporazioni esistenti anche se piccole, riflettono le regole e i comportamenti delle grandi corporazioni, consentendo l’ingresso non ai migliori e ai più onesti, ma a quelli più utili alle aggregazioni e soprattutto a mantenere equilibri di potere e di influenza pubblica. E la cosa pubblica, la burocrazia, è permeata dalle regole criptiche non interpretabili dai profani come oscure entità, dispettose e malevoli, che come veri e propri “Trolls” delle saghe nordiche, irretiscono, confondono, creano ostacoli, inibiscono, nascondono, terrorizzano e infine deridono chiunque abbia delle vere buone intenzioni vanificandole.
Che fare dunque ora di fronte all’evidenza di queste realtà? Certamente devono esserci, come ci sono sempre stati anche se in numero esiguo, dei generosi, altruisti e sconosciuti eroi-eroine della impopolarità che operano per il bene comune senza quasi chiedere nulla in cambio. Di loro non si sentirà parlare troppo, essi seguono percorsi di sofferta consapevolezza e di ideale lungimiranza, sconfitti ma non vinti, rappresentanti della ragione e dei buoni sentimenti, promotori di una generosità che va al di là del proprio clan e persino della propria specie, sconosciuti pilastri dell’etica universale essi studiano, lavorano, operano non per predare la vita ma per contribuire a migliorarne le condizioni. A loro storicamente viene data voce solo per il breve tempo di ritrovare la giusta direzione dopo le devastazioni causate dagli altri.
Adesso si guarda al cambiamento e tutti sono con il naso all’aria pronti a fiutare il vento in un suo possibile volgere di direzione e forse ad allinearsi ad esso. Certo l’allegoria del vento del cambiamento è il segnale di cui ha veramente bisogno un Paese come indicazione di percorso. Che sia il vento a decidere i piani, i progetti, le iniziative concrete, le valutazioni cristalline non offuscate da interferenze di interessi particolari. Si deve solo passare la mano e poi si comincerà a lavorare sul da farsi. Perché dopo, perché non prima? Le parti che si dichiarano competenti e alternative a guidare il paese imperversano come sempre nella denigrazione incessante e totale del lavoro altrui con generiche affermazioni sempre uguali, ripetitive e stanche, senza dire altro.
Ma tornando al riferimento iniziale del personaggio storico, si sa che persino al culmine della sua influenza politica, Robespierre sembra possedesse solo tre vestiti di cui aveva gran cura e abitasse in subaffitto nella modesta casa di una famiglia parigina, è significativo che i soggetti umani che hanno veramente rivoluzionato le leggi sociali ed etiche nel corso della storia, erano quasi tutti poveri, mentre i conquistatori di dominii, quando ci riuscivano, hanno costruito imperi di creta che si sono dissolti sulle loro ossa e quelle di milioni di esistenze sprecate. Se quindi davvero si anela al cambiamento, i soggetti preposti a farlo per incarico popolare dovrebbero avere la cultura e la volontà di iniziare a metterlo in atto finalmente su sé stessi, considerando la natura del loro impegno come una missione più che un lavoro comodo e sproporzionatamente remunerato, auto-riducendosi emolumenti e privilegi o proponendo in aula leggi e regole per farlo e disponendosi a porre sopra ogni cosa, sopra gli antagonismi, il bene della collettività. La domanda da porsi è se quelli che ambiscono al passaggio di consegne siano davvero diversi, più idonei e più impegnati a prendere in carica il controllo della cosa pubblica o si differenziano solo per il colore della cravatta?
Spesso i partiti politici quando si rivolgono al popolo si comportano come quei seduttori delle soap opera che promettono la luna alle amanti per convincerle a donare il loro corpo per poi abbandonarle o relegarle ad una esistenza negletta e di sacrifici, mentre loro vanno a sperperare fortune in dissolute aree mondane. Non servono promesse, né dichiarazioni di intenti generici e vaghi, servono certezze di percorsi. Questa società civile, come altre realtà analoghe, sperimenta il paradosso di Robin Hood nel difendere i poveri: togliere ai ricchi per dare ai poveri di per sé non è una soluzione, perché senza delle regole e dei percorsi virtuosi, quando i poveri saranno diventati ricchi si comporteranno anche loro da ricchi, egoisticamente e prepotentemente, sfruttando il loro potere e togliendo agli altri la possibilità di emanciparsi e sviluppare le loro esistenze. Forse sarebbe molto più positivo convincere e stimolare le imprese a investire le loro risorse e i loro surplus sui poveri, a condividere le loro attività, aprendo le strade ai loro ingegni e moltiplicando le loro possibilità. Qualcuno lo fa in altri paesi. Da noi le strade si aprono quasi esclusivamente ai soggetti più “familiari”.
E come si manifesta questo tanto decantato spirito di cambiamento? Nei dibattiti dei luoghi istituzionali il nome dei deputati è ancora preceduto dall’aggettivo “onorevole”. È una bella parola non c’è dubbio, molto significativa, che evoca rispetto per la figura rappresentativa che indica, anche se spesso se ne è abusato in casi di cronaca cittadina conflittuale con la famosa frase ” Lei non sa chi sono io!” Cambiare? È mai stato calcolato quanto tempo in più occorre per pronunciare in un discorso una parola composta da cinque sillabe come questa: o-no-re-vo-le, moltiplicato per tutte le volte in cui viene ripetuta in forma singolare, plurale, generi femminile, maschile e transeunti? Tanto, così tanto tempo da costituire uno spreco inutile e costoso. Si pensi se al posto dell’universale OK si sostituisse un termine di affermazione di cinque sillabe. Forse le comunicazioni globali subirebbero un rallentamento di trasmissione di dati drammatico. Ma per dare sostanza all’onorevole nostrano, bisognerebbe che coloro che ne sono titolati, si comportassero con la dovuta coerenza per il significato rappresentativo in esso contenuto. Invece si scambiano accuse e illazioni gravissime, usano il sarcasmo e il dileggio, lo scandalismo come armi improprie, come in una tifoseria calcistica, sono costantemente propensi alle risse, disprezzano gli avversari a priori e cercano di neutralizzarli con metodi molto diversi dalla dialettica, ma quando si confrontano fra loro, al di fuori e all’interno delle agoni della politica e dei media, ma lontani dallo sguardo pubblico, chissà perché, diventano tutti ossequiosamente colleghi.
Cambiare come le mode e i costumi, così anche adesso i flussi politici arcaici ritornano a proporre improbabili età dell’oro e del benessere solo vincendo la partita politica, ma come nel gioco nazionale così tanto amato da tutti, dove persino le opposizioni ideologiche si attenuano fino a scomparire risucchiate nell’alveo della fede calcistica, alla fine di una partita, dopo una vittoria, al conseguimento di un primato, alla fine della esultanza collettiva, al popolo dei tifosi non resta altro che la memoria dei colori della propria squadra sventolanti sulle teste dei vinti, della conquista di coppe e scudetti innalzate al cielo, mentre pochi altri, con basso profilo e senza tanti clamori, raccolgono i copiosi frutti del fervore sportivo. E la politica che sopravvive sempre negli agi è la stessa che in modo uniforme fa finta di piangere per il popolo che non arriva a fine mese, volendo ignorare che spesso il popolo, non arriva neanche all”‘inizio” del mese.
State tranquilli che un semplice cambio di personale, fatto con gli stessi criteri di sempre, non potrà portare nessun tipo di rivoluzione etica e pratica ma solo un rimescolamento di carte da uno stesso mazzo, che servono per giocare lo stesso solito gioco e come in una delle più semplici proprietà matematiche, anche invertendo l’ordine dei fattori, il risultato non cambia.
Ennio Romano Forina

Leave a Reply

Fill in your details below or click an icon to log in:

WordPress.com Logo

You are commenting using your WordPress.com account. Log Out /  Change )

Facebook photo

You are commenting using your Facebook account. Log Out /  Change )

Connecting to %s